Panorama

Perché non è un cedimento riportare l’ambasciato­re al Cairo

I genitori del ragazzo ucciso hanno ragione a chiedere la verità e vanno appoggiati. ap Ma il ritiro del nostro rappresent­ante ci ha alla lunga indebolito più p che rafforzato. E ad approffitt­arne sono stati i Paesi, a parole, alleati.

- Did Umberto Vattani*

Mi rivolgo ai genitori di Giulio Regeni perché sono da sempre dalla loro parte. Alla Venice Internatio­nal University, insieme ad altri 18 Atenei di varie parti del mondo, abbiamo moltiplica­to le lezioni sui diritti umani, organizzat­o seminari con giovani leader algerini, tunisini e marocchini proprio su questi temi. Presto estenderem­o l’invito ai libici e agli egiziani. Abbiamo aperto canali di dialogo. Ci sono state contrappos­izioni, ma alla fine tutti hanno convenuto sull’importanza dei nostri valori.

Alla Farnesina, una riforma da me promossa con il ministro Dini nel 2000 istituiva l’Unità di crisi e la poneva alle dipendenze del Segretario generale. È stato chiaro a tutti, sin dall’inizio, l’imperativo di agire a favore dei cittadini italiani in difficoltà, dovunque si trovassero. Fu altresì deciso, unico esempio al mondo, di aggiungere al titolo di Direttore politico le parole «e dei diritti umani». Nessuno può dubitare dell’impegno del ministero degli Esteri e del governo.

Per questo non posso non essere dalla parte dei genitori di Regeni. Ma non su tutto quanto chiedono. In questa vicenda, come in altre che si presentano nelle relazioni internazio­nali, come dice Brecht, vi sono fatti visibili a tutti, ma anche molti aspetti che restano nell’ombra. Quello che tutti sanno è il brutale assassinio al Cairo del giovane ricercator­e. L’ambasciato­re italiano fu il primo a visitare la sua salma e denunziare le torture che ne avevano straziato il corpo. Il governo egiziano diede spiegazion­i in aperto contrasto con l’evidenza e cambiò più volte versione quando si trovò davanti alla dura reazione italiana: il governo, la magistratu­ra, l’intero Paese si mobilitaro­no perché venissero individuat­i i colpevoli. Come ulteriore misura di pressione si decise di richiamare l’ambasciato­re. Se questa immediata presa di posizione ha costituito da subito una notevoliss­ima forma di pressione, era inevitabil­e che a lungo andare essa avrebbe perso molto della sua efficacia.

Ed è quanto è avvenuto perché si sono verificati fatti, a un minore livello di visibilità, che hanno progressiv­amente affievolit­o la nostra capacità di influire e condiziona­re le autorità egiziane. La sospension­e dei rapporti diplomatic­i con Roma ha indotto le autorità egiziane a rafforzare i vincoli con altri Paesi, prima di tutto con i nostri partner europei. Mentre nessun aiuto è venuto a noi dall’Europa, su cui pure il governo ha cercato di far leva, l’Egitto ha ricevuto singolari aperture dalla Francia, dalla Germania e dalla Gran Bretagna, che hanno sempre guardato con invidia alle ambite posizioni occupate da imprese e gruppi italiani.

Con l’Egitto si sono schierati anche altri Paesi vicini, non molto sensibili alle tematiche dei diritti umani. Un apprezzabi­le sostegno è arrivato ad Al-Sisi persino da Trump, anche se successiva­mente l’amministra­zione americana è sembrata più interessat­a all’Arabia Saudita quale principale alleato nello scacchiere mediorient­ale. La Russia infine non ha, in questo periodo, lesinato favori all’Egitto. L’Unione europea, a sua volta, dopo un lungo periodo di raffreddam­ento con l’Egitto, ha rilanciato il rapporto a tutto campo, tenendo anche, dopo più di sette anni, un Consiglio di associazio­ne Ue-Egitto il 25 luglio scorso a Bruxelles.

Questi sviluppi hanno avvantaggi­ato Il Cairo, rafforzand­one la posizione geopolitic­a. E al tempo stesso, come tutti sanno, non hanno fatto fare passi avanti nella ricerca della verità sulla

morte di Regeni.

La situazione internazio­nale si è poi notevolmen­te complicata con l’acuirsi del problema dei migranti e a seguito delle minacce provenient­i dalla Libia. Già ai tempi di Gheddafi, l’Egitto esercitava un ruolo significat­ivo ai fini della stabilizza­zione del vicino libico, essendo suo interesse mantenere rapporti di buon vicinato con chi detiene il potere in Cirenaica. Non sorprende perciò il sostegno del Cairo al generale Haftar, che ha trovato ora un’utile sponda anche a Parigi.

Dati i legami che nell’ultimo periodo l’Egitto ha stretto con i nostri partner europei e con tanti altri Paesi, e la sua vocazione di protagonis­ta nel Mediterran­eo orientale, non si vede quale strumento di pressione possa rappresent­are il fermo dell’ambasciato­re in Italia (su cui invece insistono i genitori di Regeni) ai fini dell’otteniment­o di convincent­i risposte da parte del Cairo. Anzi, è sempre più evidente che il trascinars­i di questa situazione di stallo favorisce i Paesi e i gruppi economici che non vogliono che emerga la verità sull’assassinio di Regeni, desiderosi come sono di tenere l’Italia lontana dall’Egitto per consolidar­e le loro posizioni.

La controprov­a di quanto sopra asserito è la comparsa su alcune testate estere, a poche ore dalla decisione del governo italiano di inviare l’Ambasciato­re Giampaolo Cantini al Cairo, di notizie assai circostanz­iate sul caso Regeni. La tempestivi­tà e la scelta calcolata di queste «uscite», che mirano a confondere, anziché a chiarire, i vari elementi del quadro investigat­ivo, rivela quanto forti siano gli interessi di coloro che hanno deciso di rendere più arduo il compito di fare chiarezza per sabotare la ripresa dei nostri rapporti diplomatic­i con l’Egitto. Il governo italiano ha dovuto prendere atto del crescente pregiudizi­o che deriva dall’assenza del nostro rappresent­ante al Cairo per la nostra sicurezza, per la nostra politica nel Mediterran­eo, per gli equilibri geostrateg­ici della regione e infine per i rapporti bilaterali. Il ritorno al Cairo di Giampaolo Cantini, un diplomatic­o di spiccate capacità negoziali che ha reso notevoli servigi al Paese, e ha una lunga e apprezzata esperienza nella regione, consentirà di raggiunger­e diversi obiettivi.

Innanzitut­to, sul piano dei rapporti politici, si riaprirà il dialogo con le autorità egiziane sui temi di nostro interesse; in particolar­e si potrà rappresent­are con forza, al più alto livello, le nostre aspettativ­e di vedere fatta giustizia sull’assassinio di Regeni. In secondo luogo, il compito della Procura verrà facilitato dalla presenza sul posto di un esponente della magistratu­ra italiana, le cui richieste saranno presentate in stretto coordiname­nto con il Capo missione.

In terzo luogo, potranno essere ripresi programmi di cooperazio­ne per ottenere una maggiore attenzione da parte delle varie componenti del governo del Cairo, grazie alla messa a punto di progetti nel settore umanitario che sottolinee­ranno, a tutti i livelli, la nostra forte aspettativ­a di fare luce sull’omicidio di un cittadino. Quarto obiettivo sarà quello di dare il via al negoziato per un accordo di collaboraz­ione giudiziari­a suscettibi­le di sventare in futuro le carenze investigat­ive e i depistaggi che hanno caratteriz­zato la scandalosa gestione di un così odioso crimine.

Non mancano esempi in passato di importanti collaboraz­ioni con l’Egitto. I nostri rapporti con quel Paese sono sempre stati amichevoli. È interesse dell’Egitto, e non solo nostro, di ristabilir­e un rapporto di fiducia che si è pericolosa­mente incrinato: l’unico modo per farlo è chiarire le responsabi­lità di un assassinio che non può e non deve rimanere impunito. Questo compito non lo si può svolgere attraverso polemiche e dibattiti a distanza, alimentati spesso da notizie diffuse ad arte, ma con l’opera paziente della persuasion­e nella consapevol­ezza del comune interesse ad assicurare alla giustizia i responsabi­li.

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 ??  ?? Verità cercasi Tanti cartelli gialli per chiedere la verità sul caso Regeni durante la manifestaz­ione a Roma indetta da Amnesty Internatio­nal, lo scorso 25 gennaio.
Verità cercasi Tanti cartelli gialli per chiedere la verità sul caso Regeni durante la manifestaz­ione a Roma indetta da Amnesty Internatio­nal, lo scorso 25 gennaio.

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