L’ELISIR DI LUNGO VIAGGIO
Asia, Americhe, il Polo. L’Africa. Lina Fantelli ha visto ogni continente e trovato nell’avventura la gioia di vivere. Infatti, a 97 anni, ha ancora voglia di «andare».
Far girare uno di quei mappamondi di una volta, con gli Stati colorati uno diverso dall’altro, e poi fermarlo all’improvviso: l’indice punterebbe su un luogo dove Lina Fantelli è stata di sicuro. Ogni continente, eccetto il Polo Sud (ma in quello Nord ci è arrivata, precisamente a 81 anni). Avventure e scoperte. I deserti e il Rio delle Amazzoni, Himalaya e Australia, il Nord America e, prima su tutto, la «sua» Africa. Attraversata su un camper con il marito Dino, quando ancora certi viaggi erano vere esplorazioni; oppure «trasvolata» a tappe con un aeroplanino, dal Cairo giù fino al Capo di Buona Speranza. Oggi ha 97 anni, ma non li dimostra. Il volto è una geografia di bellissime rughe, i capelli candidi («Il segreto è lavarli con un certo sapone che mi regalano dalla Calabria», confida), gli occhi mobilissimi appena un po’ appannati. È lucida, ironica, elegante sempre con una punta di civetteria. Indosso, un abito di cotone «comprato per tre euro su una spiaggia del Kenya». In compenso porta meravigliosi giri di collane che arrivano dall’India e dell’ambra scovata in chissà quale suk carovaniero. Quasi centenaria, senza aver perso un grammo della sua passione (o meglio, ossessione) nomade: «Ripartirei all’istante». L’avrebbe trovata di certo interessante Bruce Chatwin, il viaggiatore nell’irrequietezza del Novecento. «Purtroppo non posso più fare le traversate di un tempo. L’ultima è stata a 92 anni, in Madagascar. Col fuoristrada, sulle piste però ho preso troppe scosse e le mie povere ossa ormai sono quasi polvere», scherza amara. Da allora l’odore dell’Africa lo sente dalla spiaggia del Kenya, da Watamu. Là ormai la conoscono tutti e la omaggiano come la regina mzungu, «bianca» in lingua swahili. Un po’ magica, vista la sua considerevole anagrafe. «Sono rientrata
da lì sei mesi fa e mi continuano a chiamare: “Quando torni?”». La casa di Lina Fantelli è uno scrigno delle meraviglie per chi è appassionato di testimonianze etnografiche, statuette, collezioni di monili, sportelli di legno intagliato dei granai del Mali e altissime ed elaborate sculture col pantheon di qualche tribù della Papua Nuova Guinea, antichi picchetti di palma delle tende dei pastori mauritani e cavigliere di bronzo del Sud-est asiatico. A Mede, piccolo centro in provincia di Pavia dove vive, ha donato una piccola e altrettanto straordinaria collezione. «Sì, gli oggetti mi fanno compagnia, ma non valgono nulla se non puoi viaggiare ancora». Quando ha scoperto in sé la molla del viaggio? Appena aperto gli occhi, venendo al mondo... Mi ricordo che a 10 anni volevo già «andare». Mi preparavo un sacchetti- no con i miei tesori e la merenda, pronta per chissà dove. Curiosa di tutto. Però, il destino ha deciso altrimenti. Prima la guerra, poi il lavoro. Per partire davvero c’è voluta mezza vita. E un lutto. Cioè? Avevo 45 anni. Una notte, a casa, suona il telefono. L’ospedale. Un incidente a mio figlio Ugo di 27 anni. È stato tremendo ( la voce le s’incrina ancora). Dopo mesi, per cercare di farci uscire da quel pozzo buio di dolore, un amico regala a me e mio marito un viaggio. A noi un viaggio, che non eravamo mai usciti dall’Italia! Si lavorava e basta, allora. Non volevamo andare. Poi… La prima immagine di quell’evasione? La strada che da Entebbe porta a Kampala, costeggiando il lago Vittoria, in Uganda. Miriadi di pappagallini che volavano come impazziti. E queste donne enormi, avvolte nelle loro stoffe sgargianti - verde, rosso, giallo - che camminavano ai lati della strada. Una strana terapia per me: un pugno nello stomaco che non fa male, ma che non ti puoi più scordare. Qual è il luogo «su misura» per lei? Il Sahara. Il suo silenzio e gli spazi. Mi liberano dal senso di costrizione che ho sempre patito. Per me il momento più bello nel deserto è quando monto la mia tenda, la sera. Vicino al sacco a pelo, sistemo le foto dei miei due uomini, Dino e Ugo, e la sveglietta – non viaggio mai senza. Sono lì lontano da tutto, eppure non mi manca niente. C’è un deserto più «deserto» degli altri? Forse il deserto bianco, in Egitto. Con i grandi funghi calcarei bianchi che spiccano sulla sabbia arancione e il cielo blu cobalto. Mi ricordo da quelle parti, nell’oasi di Farafra, una fila lunghissima di cammelli. Un miraggio vero. Allora ci
arrivava una pista impervia. Invece, oggi c’è la strada e tutto è un po’ rovinato. Che cosa s’impara nel viaggio? Se io viaggio, sono euforica. E impari a vivere in quell’attimo, a immagazzinare lo splendore che vedi e le emozioni che provi per i momenti difficili. Con suo marito avete pure attrezzato un camper speciale. Era una vecchia ambulanza francese, Renault Tp3. Attraverso la Spagna e il Marocco, siamo scesi verso il golfo di Guinea. A lui più che viaggiare, piaceva guidare fuoripista. A me, tutto il resto. Lei ha comunque potuto vedere cose straordinarie. Di sicuro, anche se ora si confondono un po’. La memoria rende i suoi ricordi quando non te l’aspetti. Ecco, in America latina mi sembra che la povertà sia vissuta in modo più sereno. Una volta eravamo in Chiapas, Messico. La Coca Cola aveva appena aperto una fabbrica. C’era la festa del villaggio dove ci eravamo fermati e gli abitanti, come ringraziamento, avevano coperto completamente la chiesa di bottigliette: diventò la festa di Santa Coca Cola. Quant’è cambiato il mondo rispetto a quando ha fatto i suoi viaggi? Probabilmente mi sbaglio: ma credo che in giro non sia rimasto granché di autentico. Di sicuro, certi viaggi sono più pericolosi. Mi ricordo invece che, viaggiando col camper in Algeria, la sera capitava di fermarsi in posti remotissimi. Ma nel deserto anche la zona più disabitata all’improvviso può popolarsi. Scesa la notte, dunque, si erano avvicinati questi tuareg. All’inizio noi eravamo preoccupati. Poi cominciammo a intenderci a gesti. Gli regalammo degli accendini. E loro ci prepararono un fantastico tè. Ha un’età tale che può dare giudizi: qual è la cosa più bella della vita? La libertà, non dover dipendere da nessuno. Lo impari quando sei vecchia. Tutti, con la scusa che sono preoccupati per te, continuano a dirti che cosa fare. Quindi con gli anni sono dovuta diventare più disciplinata. Ma... ( sorride) non troppo, tutto sommato. Ha persino avuto una polemica col presentatore Mike Bongiorno. Era il 2001. Lui sosteneva di aver toccato il Polo Nord; io che non c’era mai arrivato! Al contrario di me. Avevo 81 anni e neanche mi piace il freddo… Ci arrivai volando in elicottero da una base siberiana, fin proprio lì dov’è indicato il polo magnetico. E posso mostrare le foto. I record non mi interessano, le cose però vanno dette come stanno. Le pesa la vecchiaia? È una bruttissima bestia. Che si diventi più saggi è una balla: io ho le stesse paure e continuo a essere intollerante sulle stesse cose. Forse, per necessità, mostro solo un po’ più pazienza. Da questa sua casa così ricca di oggetti cosa si porterebbe via? Quella. ( Indica, appeso a una parete, un pezzo di legno chiaro su cui sono infisse piccolissime schegge di metallo). È una grattugia. L’ho contrattata con un indio Piaroa sul fiume Orinoco, in Venezuela. Non voleva venderla perché gli serviva nella vita di tutti i giorni. A me pareva la cosa più importante di quel viaggio. Dentro c’è un mondo. Continuo a pensare che siano stati i miei 12 dollari spesi meglio. Ha qualche rimpianto? Forse qualche maschera africana che mi sono lasciata sfuggire! No, in realtà nessuno. Quel che ho fatto è stato bellissimo e quel che ho mancato... Be’ vuol dire che non valeva la pena. Del «grande viaggio» che aspetta tutti noi è preoccupata? Dovrei? A volte mi chiedo se il Signore si sia scordato di me, quaggiù. Poi ci penso e, insomma, spero possa avere ancora un po’ pazienza. Qual è il suo sogno? Tornare una volta ancora a Watamu, respirare l’Africa, fare il bagno nell’Oceano. Ci riuscirò? Là mi aspettano pure… Qualcuno direbbe che alla sua età dovrebbe starsene un po’ tranquilla. Già, ne ho viste tante. Penso all’Australia, con quelle fattorie sterminate e là dormire circondata da centinaia di pecore. Sì, dovrei accontentarmi. Ma io ho un problema: non mi accontento!