Matteo, fatti più in là
Complici i sondaggi favorevoli, dentro e fuori il Partito democratico si allunga la lista di coloro che puntano per il 2018 alla candidatura a premier dell’ex delfino di Matteo. Che intanto...
Primo indizio. Salvo miracoli, le elezioni politiche del 2018 hanno almeno un finale certo: Matteo Renzi non sarà il prossimo presidente del Consiglio. Stante la legge elettorale attuale, e ammesso pure che il suo Partito democratico arrivi primo davanti al centrodestra e al movimento 5 Stelle (ipotesi al momento assai improbabile, il Pd è terzo nei sondaggi), Renzi dovrebbe cercarsi in parlamento alleati disposti ad aiutarlo per l’approdo a Palazzo Chigi. Ma nessuno degli attori politici in campo lo farebbe: né Beppe Grillo, né la variopinta sinistrasinistra dei vari Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, Nicola Fratoianni, Giuliano Pisapia (e chi più ne ha più ne metta). Peraltro, a differenza di quanto pretendono di
svelare taluni cronisti politici, Matteo non può contare nemmeno su Silvio Berlusconi. Non solo il leader di Forza Italia conta di arrivare primo con il centrodestra, ma anche entrando nell’ottica della Grande coalizione, mai darebbe il via libera a un secondo governo Renzi dopo la deflagrazione del Patto del Nazareno, che lo stesso Berlusconi continua a imputare al segretario del Pd. Secondo indizio. I sondaggi dicono che il premier
in carica, Paolo Gentiloni, è ormai più popolare di Renzi, e anche di molto (il 30 agosto, Nicola Piepoli ha rilevato un 40 per cento gentiloniano contro il 27 renziano). Insomma, candidando Gentiloni al posto di Renzi nella corsa a Palazzo Chigi, il Partito democratico potrebbe forse evitare la sconfitta certa o, perlomeno, ridurla. Terzo indizio. Gli unici, veri alleati potenziali del Pd sono quelli della sinistra-sinistra. I quali, tranne D’Alema, sono disponibili ad appoggiare un nuovo governo Gentiloni, mentre ritengono impossibile il sostegno a Renzi. Inoltre, pure Forza Italia, nel caso il centrodestra arrivasse nelle urne dietro al Partito democratico, investirebbe sulla moderazione gentiloniana invece di scommettere sull’agitazione renziana. Ecco, diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Ebbene, i tre indizi ci sono e la prova anche: gran parte del mondo dem sta repentinamente abbandonando «Matteo il caldo» per puntare su «Paolo il freddo». Fatto ancor più pesante, la lista dei gentiloniani comincia a farsi assai corposa. Parte da padri nobili come Romano Prodi, Enrico Letta e Walter Veltroni, passa per ex alleati di Matteo (Dario Franceschini), alleati tiepidi o agnostici (Nicola Zingaretti e Carlo Calenda) e arriva fino agli oppositori di Renzi nel Pd (Andrea Orlando e Michele Emiliano). Va da sé:
sono tutti in attesa del 5 novembre, il giorno del giudizio. Con le elezioni regionali siciliane, che si prospettano devastanti per il Partito democratico, si aprirà in tempo reale il processo al segretario. Il quale, non a caso, continua a parlare di «test locale». Tuttavia, per i maggiorenti dem avrà lo stesso valore delle elezioni sarde per Veltroni: il 17 febbraio 2009, dopo la pesante sconfitta del Pd alle regionali, l’allora segretario si dimise. In attesa della Sicilia, su Renzi continuano a ca
dere fiumi di velenoso sarcasmo. Come quello sulla fresca benedizione di Papa Francesco a Gentiloni (e Marco Minniti) per il loro lavoro sui migranti. «Paolo è un angelo» dice un franceschianiano di Gentiloni, «Matteo un povero diavolo». Ma a fare più male sono le analisi politiche: «Renzi ha imposto il governo-fotocopia, composto tutto da gente che aveva scelto lui. È stato l’ennesimo errore tra gli errori perché ha indotto l’Italia intera al paragone. Molti ministri restano brocchi e lo erano pure con Matteo. Ma ora, almeno, non producono danni e con Paolo sembrano diventati improvvisamente bravi. Perché? Forse perché chi li guida è più abile?».
Tale ragionamento, attribuito al senatore del Pd Ugo Sposetti, storico tesoriere del Pci-Pds-Ds, segnala quanto tasso di gentilonismo abbia il partito. Tuttavia, gli avversari di Renzi, vecchi e nuovi, hanno due problema seri da superare. Il primo è lo statuto del Partito democratico, per il quale il segretario è automaticamente anche il candidato alla presidenza del Consiglio. Il secondo problema è sentimentale: mai e poi mai il premier in carica tradirà il suo mentore, perché considera il patto tra loro (detto GentilRenzi) indissolubile.
Alla fine, però, non è escluso che Matteo, indotto dai sondaggi e dal contesto dem, possa compiere lui stesso un volontario passo di lato. D’altronde, lunedì 11 settembre, a Marsala, è stato relativamente enigmatico: «Non so se tornerò a Palazzo Chigi…» ha detto. Infatti, potrebbe scegliere di rimanere segretario e lanciare la premiership dell’amico Paolo. Ma dubitare è lecito: sarebbe il primo atto di generosità della sua carriera politica.