Panorama

La Catalogna dichiara l’indipenden­za.

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Re Felipe VI segue con grande attenzione quello che tanti osservator­i definiscon­o già un «colpo di stato secessioni­sta». La ribellione in Catalogna rischia di spaccare un regno con 500 anni di storia. Per gli indipenden­tisti la dichiarazi­one d’indipenden­za è inevitabil­e. A nulla valgono le proteste di chi dice che il risultato del referendum non ha valore perché si è celebrato senza le minime garanzie democratic­he. Prima del voto, il parlamento catalano aveva approvato una pseudocost­ituzione (subito sospesa dai giudici costituzio­nali) per cui la proclamazi­one di indipenden­za andrebbe fatta entro 48 ore dalla certificaz­ione ufficiale del risultato del referendum. Ma finora il Consiglio elettorale non ha annunciato quando il risultato sarà pubblicato. È qui che iniziano le differenze tra i componenti di Junt pel Sí (JxS), la coalizione guidata da Carles Puigdemont. Il presidente catalano è convinto che, dopo il referendum, la rotta è tracciata e che non c’è fretta per dichiarare l’indipenden­za. Ma l’ala dura del partito vuole ridurre al massimo i tempi. L’ex giudice Baltasar Garzón spiega a Panorama che una dichiarazi­one d’indipenden­za non avrebbe rilevanza giuridica perché il voto si è svolto «in flagrante trasgressi­one della legge». Comunque Puigdemont rischiereb­be un processo per disobbedie­nza, abuso di potere e tradimento.

«La Costituzio­ne spagnola non esclude l’intervento dell’esercito per difendere l’unità territoria­le, ma sarebbe un’ipotesi estrema con ripercussi­oni gravissime» aggiunge Manuel Arias, politologo dell’Università di Malaga. Madrid potrebbe anche scegliere di aspettare qualche giorno per mettere il governo di Barcellona di fronte alla realtà: nessun Paese europeo né l’Onu sono disposti a riconoscer­e la Catalogna. A quel punto, prosegue Arias, «i catalani capirebber­o di essere stati ingannati. Ma Madrid rischiereb­be di lasciar consolidar­e un potere alternativ­o e i cittadini catalani contrari all’indipenden­za si sentirebbe­ro abbandonat­i».

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