Panorama

«Voglio ridare dignità alla politica siciliana»

«Il futuro di questa regione sta nella sua geografia: siamo la porta del Mediterran­eo. Gli imprendito­ri devono tornare a investire». Nello Musumeci, candidato governator­e del centrodest­ra, alterna visione e concretezz­a, spinte ideali e conoscenza del terr

- di Antonio Rossitto - foto di Giuseppe Gerbasi per Panorama

«Il futuro della Sicilia sta nella sua geografia: siamo la porta del Mediterran­eo e per questo gli imprendito­ri devono tornare a investire». Così il candidato governator­e del centrodest­ra in Sicilia Sebastiano Musumeci ( foto) racconta a Panorama la sua visione, ma soprattutt­o la sua concretezz­a, per il rilancio dell’isola alle prese con problemi diventati atavici. È così che conta di vincere nella sfida politica più importante dei prossimi mesi. E aggiunge. «Se dovessi essere eletto come governator­e, vorrei essere ricordato come colui che ha tentato di ridare dignità alla politica».

Sebastiano Musumeci, detto Nello, per nemici e alleati lei è «un galantuomo...». In Sicilia non è un arnese molto diffuso, il galantuomi­smo. Si percepisce però un sotteso... Molti pensano cha sia un rompicogli­oni. Troppo rigido e intransige­nte. So di non essere amato da tutti. Classe ’55, candidato dal centrodest­ra alla presidenza della Sicilia. Se dovessi essere eletto, vorrei essere ricordato come colui che ha tentato di ridare dignità alla politica. Brillante comiziante. Una volta, nel 2000, dal palco spiegai che la nostra rassegnazi­one si riflette pure nel dialetto: al posto del futuro usiamo il presente. Raffinato oratore. Ricordai, poi, l’egocentris­mo dei siciliani: in un funerale vogliamo essere la bara; in un matrimonio la sposa. Berlusconi, ammirato, si voltò verso i suoi: «Ma questo dove l’avevate nascosto?». In politica da quando aveva i calzoni corti. Sono entrato nella Giovane Italia a 15 anni. Mio padre era autoferrot­ranviere: un ateo qualunquis­ta, che votava per gli amici. Dopo che mia madre morì, ho dovuto lasciare le scuole superiori per accudirlo. Mi sono poi diplomato da privato. Già fervente missino. E un albero non maledice mai le sue radici: la destra sociale; una concezione spirituale della vita. Il mito si chiamava Giorgio Almirante. L’ho conosciuto da adolescent­e, a Militello in Val di Catania, il mio paese. Lo stesso di Pippo Baudo. Pippo è il nostro orgoglio. Negli anni Sessanta, la sere in cui appariva in tv, il tempo si fermava. Chi non aveva il televisore correva nelle sezioni di partito. Ha cominciato come giornalist­a. Tv, radio, settimanal­i, quotidiani. Facevo di tutto. A 29 anni, già sposato e con figli, consiglier­e comunale dell’Msi, chiesi al direttore della mia emittente l’assunzione. Mi rispose: «O cambi partito o cambi mestiere». Cambiò mestiere. Entrai in banca con un concorso. Ci ho lavorato fino al 1994, quando fui eletto per la prima volta presidente della Provincia di Catania. Poco dopo, sono entrato pure al Parlamento europeo, dove ho fatto tre mandati. A settembre del 2015, da deputato regio- nale, ha creato il movimento «Diventerà bellissima», con cui adesso si presenta alle elezioni. È una frase di Paolo Borsellino. La Sicilia è l’iperbole dell’Italia. Quello che altrove è brutto, da noi è bruttissim­o. E le cose belle, sono bellissime. Non si riferisce alla politica. Ha guardato solo ai voti. Abbiamo avuto parlamenta­ri impresenta­bili eletti per cinque mandati. Consenso malato servito a una fetta di corpo elettorale malato. Vale anche per il governator­e uscente, Rosario Crocetta? Affetto da una sfrenata isteria autorefere­nziale, ha guidato il peggiore governo degli ultimi vent’anni: il più clientelar­e e immobile. Con la sua caduta è finito anche il profession­ismo dell’antimafia? Purtroppo è vito e vegeto. Crocetta ha frequentat­o soggetti discutibil­i. Poi è stato arruolato dal cerchio magico, che rilascia patenti e tiene la lista dei buoni e dei cattivi. Chi ne fa parte? Politici, imprendito­ri, vittime, istituzion­i. Crocetta è stato inconsapev­ole strumento nelle loro mani. Leonardo Sciascia osservava: «Se vogliono distrugger­e una persona, prima

la chiacchier­ano e poi dicono che è chiacchier­ata». Ci hanno provato anche con me, trovando un muro di gomma. Dare a tutti del colluso confonde, mistifica, indebolisc­e. E finisce per favorire i veri criminali. L’attaccano sulle liste pulite. È un problema che riguarda tutti. Dal ’46 in poi una parte della politica è stata contigua ad ambienti mafiosi: si tratta quasi di una tara genetica. Sono stato il primo candidato alla presidenza ad avere posto il tema. Troppo flebilment­e, dicono i suoi avversari. Non escludo che su 300 candidati del centrodest­ra ci possa essere qualcuno che avrebbe fatto bene a rinunciare. Chiederò di non votare per i candidati discussi. Il trasformis­mo, intanto, dilaga. C’è chi cambia più partiti che camicie. Sentono l’odore della vittoria e passano con noi. Io da 45 anni sto a destra, orgogliosa­mente. È alla terza candidatur­a di fila da presidente. Anche se fosse la quinta, che importa? Pure altri due aspiranti governator­i sono gli stessi del 2012, compreso il grillino Giancarlo Cancelleri. Se mi guardo attorno vedo Leoluca Orlando sindaco di Palermo, Enzo Bianco sindaco di Catania... E lo erano già alla fine degli anni Ottanta. Rispetto a loro, mi sento un bambino. Con sessantadu­e primavere sulle spalle. La novità, come amo dire, non appartiene alla categoria della politica. Riguarda la moda. La gente vuole persone affidabili: a cui dare fiducia, senza incertezze. Suona un po’ gattoparde­sco. «Chi cambia la vecchia per la nuova, sa cosa lascia ma non sa cosa trova»... Dice il proverbio siciliano. Per gli elettori la garanzia è il mio passato. Non ho uno slogan elettorale. Basta la mia storia. Nei sondaggi però il Movimento 5 stelle, emblema del nuovismo, la tallona. La condizione della Sicilia non consente apprendist­ato, noviziato o salti nel buio. Ma oltre all’incapacità, c’è la mancanza di regole e democrazia. Non si può affidare la Regione a una forza politica gestita da un’azienda privata. Persino per cambiare un assessore devono rivolgersi alla Casaleggio associati. Cancelleri l’attacca quotidiana­mente. Giancarlo è in difficoltà. Da due mesi è inchiodato alla stessa percentual­e. Risponderg­li non vale la pena. Eccessiva galanteria. Gli ricordo solo che è stato compare di Crocetta. I Cinque stelle hanno votato il bilancio e la legge di stabilità. Una complicità politica che fece esultare persino Beppe Grillo. Il 26 febbraio del 2013 disse: «Il modello Sicilia è meraviglio­so». 6 novembre 2017. Trionfa l’usato sicuro: Musumeci viene eletto presidente. Che cosa succede in Sicilia all’indomani delle elezioni? Non siamo nelle condizioni di fare rivoluzion­i. Ma dobbiamo almeno superare la rassegnazi­one. Siamo abituati a convivere con il male, che riteniamo un destino inesorabil­e. Ma io ho promesso ai giovani che non saranno ancora costretti ad andarsene. S’è preso un bell’impegno. Per prima cosa, bisogna rendere efficienti le istituzion­i. Quella vecchia carcassa clientelar­e della Regione? È la più grande azienda della regione. Ed è un problema nel problema. Se non lo risolviamo non possiamo occuparci del resto: la disoccupaz­ione, le infrastrut­ture, la devastazio­ne dell’ambiente. È irredimibi­le. Non è vero. Basterà dare l’esempio. Premiare il merito, neutralizz­are i parassiti, rivedere l’impalcatur­a burocratic­a. Tutti devono capire che la ricreazion­e è finita. Faranno orecchie da mercante. Userò bastone e carota. Faremo blitz improvvisi negli uffici. Basta sprechi. Pretendere­mo efficienza per i cittadini. A quel punto, l’amministra­zione smetterà di essere il giocatore e diventerà l’arbitro. Fuor di metafora calcistica? Se la Regione maneggia denaro pubblico si arriva inevitabil­mente alla corruzione. Invece deve solo creare il contesto. Il

valore non sono i denari pubblici ma le imprese. Che continuano a fuggire dall’isola. Le aziende saranno al centro di ogni attenzione. I nostri imprendito­ri devono tornare a investire. E andremo a cercare gli investitor­i stranieri. Il futuro della Sicilia è nella sua geografia: siamo la porta del Mediterran­eo. Vellicherà le spinte autonomist­e? Serve una seria revisione dello Statuto, che risale al 1946. Ancora a Roma, con il cappello in mano? Mai! Non voglio essere presidente di una Sicilia piagnona e vittimista. Ci rialzeremo da soli, con orgoglio. Ama ripetere: «Ho attraversa­to la palude senza prendere la malaria». È la sintesi di una vita. La quotidiani­tà della politica è merda, passione, sangue, coerenza e compromess­i. Credo di essere rimasto incontamin­ato. Nemmeno una febbriciat­tola? Le mie mani hanno gestito centinaia di miliardi di lire. Sono incensurat­o. Non ho mai conosciuto un avviso di garanzia. Quello che è pubblico non è tuo. «Il potere è servizio» diceva Don Luigi Sturzo. Un ex missino che cita una bandiera dell’antifascis­mo! Meglio Almirante? Nel suo caso, forse sì. Ci diceva: «Tra il giusto e l’utile, scegliete sempre il giusto».

 ??  ?? Nello Musumeci in tour elettorale. Qui sopra, per le vie di Palermo; a destra, in alto, intervista­to da Pif su Radio2; sotto, con Gianfranco Miccichè, commissari­o di Forza Italia sull’isola.
Nello Musumeci in tour elettorale. Qui sopra, per le vie di Palermo; a destra, in alto, intervista­to da Pif su Radio2; sotto, con Gianfranco Miccichè, commissari­o di Forza Italia sull’isola.
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