Non un solo cantiere per le chiese terremotate
La denuncia del vescovo D’Ercole: «Cambiare la legge, altrimenti tra dieci anni saremo ancora tra le macerie».
La situazione è complessa, non c’è dubbio, ma la legge ha ingarbugliato tutto». Anche la Chiesa punta il dito contro la burocrazia sul post terremoto nel Centro Italia. Monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli, uno dei comuni colpiti dal sisma, sottolinea: «Di questo passo, la ricostruzione chissà quando sarà ultimata».
La scelta del governo di procedere con leggi ordinarie, nonostante la situazione straordinaria, ha infatti rallentato la ricostruzione delle chiese. Su circa 4.500 chiese danneggiate, soltanto per 180 è in corso la valutazione del danno e la progettazione dei lavori. Finora nessun cantiere è stato aperto e sono pochi gli interventi di messa in sicurezza, anche se la normativa di riferimento è stata varata a metà ottobre 2016. Ma il decreto 189 di ottobre 2016 ripartisce le competenze per i lavori sulle chiese tra più soggetti. Oltre al ministero dei Beni culturali, sono coinvolti i Comuni ai quali spettano le misure per salvaguardare la pubblica incolumità e le diocesi che invece si devono occupare di tutelare i beni da altri disastri. Infine le Regioni hanno il coordinamento. «Per gli edifici ecclesiastici la legge prevede che solo il Mibac possa es-
sere ente appaltatore della ricostruzione, ma questo espropria le diocesi della possibilità di intervenire se non per i puntellamenti» sottolinea D’Ercole. «Se anche le diocesi, che conoscono il territorio, potessero ricostruire le chiese, saremmo a buon punto. Invece affidando tutto allo Stato, le lentezze sono inevitabili. La legge va cambiata altrimenti tra dieci anni saremo ancora tra le macerie».
I lavori sono rallentati anche da un flop informatico. La piattaforma sulla quale vanno caricati i progetti e le fatture di spesa è rimasta bloccata fino a marzo. Insomma, pure il recupero del patrimonio artistico-religioso è diventato una scommessa. (Laura Della Pasqua)