Le mine attorno al governo «di necessità»
Qualche giorno fa, incontrando per caso il senatore dissidente del Partito democratico, Massimo Mucchetti, Massimo D’Alema si è lasciato andare a una previsione: « Matteo Renzi prenderà la sua terza batosta sulla legge elettorale» spiegava «dopo la riforma costituzionale e l’Italicum, secondo me, naufragherà anche il Rosatellum. Ma, a parte questo, probabilmente nessuno vincerà le prossime politiche, per cui dovremo adattarci all’idea dell’unica maggioranza possibile, quella che metterà insieme Pd, Forza Italia e noi di Mdp, ma senza Renzi a Palazzo Chigi». Al netto della solita dose di arsenico somministrata all’attuale leader del Pd con le evocazioni contro la legge elettorale, la profezia dalemiana, paradossalmente, si avvicina, nella sostanza, all’epilogo più probabile che Renzi prevede per le prossime elezioni politiche, che tutti già immaginano si terranno il 4 marzo. «Non credo che qualcuno dei tre poli riuscirà a vincere le prossime elezioni» è la confidenza fatta da Matteo ai suoi «la subordinata è quella di un governo di necessità. E a quel punto la formula più probabile sarebbe una maggioranza con dentro il Pd, Forza Italia e Mdp e, se esisteranno ancora, i centristi. Non è fatalismo, ma puro realismo». Già, più che elucubrazioni, sono ragionamenti che nascono dall’analisi dei sondaggi e dei numeri. Certo, specie negli ultimi tempi, i sondaggi non ci azzeccano, ma in assenza d’altro anche al Quirinale si appassionano a queste simulazioni. Lì, addirittura, il pragmatismo ha fatto coniare una nuova espressione lessicale, che dovrebbe rappresentare l’equilibrio politico delle prossima legislatura: «governo di necessità». I cultori del Colle, di stretta scuola democristiana, addirittura hanno ipotizzato due sottospecie da usare secondo il responso delle urne: un governo più politico, se le formule di cui disquisiscono Renzi, D’Alema e altri, avranno i numeri; un governo del Presidente, cioè con ministri assolutamente tecnici, basato sulle competenze, che va a trovarsi una maggioranza in Parlamento per un tragitto limitato, se i numeri non torneranno. E il più quotato al Quirinale per guidare l’esecutivo, in entrambe le variabili, è, manco a dirlo, l’attuale presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Tutti questi scenari, se si va a vedere, scontano un grande escluso (oltre ai 5 Stelle), cioè la Lega di Matteo Salvini. «Noi un governo con la Lega» è il leitmotiv del segretario del Pd «non lo faremo mai». Ma, come spesso avviene nella politica italiana si sceglie una rotta, ma poi si segue l’itinerario più pericoloso. Per esempio, si immagina un equilibrio politico senza la Lega, ma si approva una legge elettorale che dà a Salvini una grande capacità di manovra nel centrodestra. O, ancora, si ipotizza Gentiloni come premier nel dopo elezioni, ma si spinge il suo governo a mettere la fiducia sul Rosatellum, intaccandone l’immagine super partes: Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema, se saranno chiamati ad appoggiare un governo di necessità come potranno mai accettare un premier che ha messo la fiducia su una legge studiata per penalizzarli? Sono i misteri del Belpaese.