DURA E IMPASSIBILE NEL FILM, UNA VERA TIMIDA NELLA VITA
Anche i replicanti, per quanto artificiali, piangono. Così succede a Luv, assistente del produttore di schiavi Wallace in Blade Runner 2049, interpretato da un Jared Leto cieco dagli occhi vitrei. Luv si emoziona assistendo alla nascita e alla sofferenza dei suoi simili e allora le lacrime scendono sul suo viso per il resto impassibile. Ma l’attrice che la interpreta, Sylvia Hoeks, 34enne olandese, è quasi irriconoscibile a incontrarla dopo il film. Bionda (in scena ha i capelli neri), dolce (nel film è anche violenta) e a sentire lei anche molto timida. «Sono un’introversa, sapesse quanto soffrivo quando, da giovanissima, mi mandavano in giro per i miei impegni di modella. Già allora avevo in mente solo il cinema». A 18 anni è entrata alla Maastricht theatre school, ha girato una trentina di film tra cui La migliore offerta (ne era la protagonista femminile) di Giuseppe Tornatore e il thriller Renegades: commando d’assalto, ora nei cinema. Come ha avuto il ruolo in Blade Runner 2049? Facendo provini, ma cercavo di non metterci troppe speranze per non
restare delusa da un «no». Un film così è il sogno di qualsiasi attore, è una grande produzione, ma è girato con coraggio autoriale e creatività. Le novità tecnologiche degli ultimi anni fanno sembrare possibili anche i replicanti. Ci ha riflettuto preparandosi alle riprese? Molto, siamo tutti smartphone-dipendenti, le relazioni personali passano da lì. E i bambini crescono con una vita virtuale che li assorbe più tempo di quella reale. Ha creato la sua replicante prendendo spunto da questo? Anche. Ho pensato a tante celebrity con milioni di follower e un’esistenza online che ha divorato la loro identità, oltre che la loro privacy. Per le scene d’azione avrà dovuto fare un training tosto… Sì, mi ha allenato una campionessa di triathlon: sei ore al giorno, sei giorni alla settimana, per mesi. Iniziavo al mattino con il sollevamento pesi e proseguivo con l’allenamento cardio e le arti marziali. La domenica non riuscivo neppure a camminare, ma quando sono arrivata sul set avrei potuto mandare ko parecchia gente. Com’è stato l’incontro con Jared Leto? Davvero strano: non avevamo potuto fare le prove insieme e lui è rimasto sempre calato nella parte. Perfino al primo incontro si è presentato come il creatore di replicanti Niander Wallace. Aveva immaginato tutto questo quando faceva la modella? Diciamo che lo sognavo, perché a posare non ero brava per niente, troppo introversa. Ha iniziato presto, a 14 anni: perché? Ero curiosa, volevo uscire dal villaggio dove sono cresciuta. Ma quando andavo in trasferta a Parigi avevo nostalgia di casa, le altre ragazze cercavano di trascinarmi nei divertimenti, ma io ero lì con la lacrimuccia. Recitare è un’altra cosa. Ti cali in una storia, esorcizzi la timidezza. E poi fin da bambina avevo la fissa dei film, i miei dovevano strapparmi dalla tv, la preferivo perfino agli amici. Com’è avvenuto il salto dalle passerelle al set? Quando mi hanno preso alla scuola di recitazione ho smesso anche di sfilare. La prima estate dopo la scuola ho avuto un ruolo in un film e ho capito che era la mia strada: era lì che mi sentivo a casa.