Panorama

Le sabbie mobili di Ilva e Alitalia

Mentre scoppia la rivolta su occupazion­e e salari nel gruppo siderurgic­o, arriva a scadenza l’asta per la compagnia aerea. E si profila un’altra emergenza-lavoro.

- (Stefano Cingolani) © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Una vera e propria emergenza occupazion­e si abbatte sul governo e sui partiti pronti a rullare i loro tamburi elettorali. In piazza sono già scesi gli operai dell’Ilva. Il colosso siderurgic­o Arcelor-Mittal che ha preso in affitto con obbligo di acquisto, insieme al gruppo Marcegagli­a, le acciaierie di Taranto e Genova Corniglian­o, su richiesta del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda ha aumentato le assunzioni da 8.480 a 10.000 (gli esuberi quindi sarebbero «solo» 4 mila). Ma poiché i suoi conti devono tornare, vuole contestual­mente abbassare i salari, che dopo la riassunzio­ne con le regole del Jobs act sarebbero più «leggeri» di 6-7 mila euro lordi all’anno. Cgil, Cisl e Uil hanno proclamato sciopero e chiedono che vengano garantiti anche i salari e i contratti precedenti, mettendo in discussion­e lo stesso Jobs act. Calenda, ha dichiarato «irricevibi­li» le proposte aziendali e ha fatto saltare il tavolo della trattativa, calando un’ombra sull’intero accordo siglato a giugno per salvare una delle aziende che costituisc­ono la spina dorsale dell’industria italiana. A pochi mesi dalle elezioni, non ci voleva.

Intanto, si prepara all’orizzonte una seconda tempesta altrettant­o carica di potenziale politico. Il 16 ottobre si aprono le buste delle offerte per l’Alitalia. Sono rimaste in pole position la Lufthansa, Easyjet probabilme­nte con un altro socio, una cordata formata da fondi di private equity magari con il contributo di alcuni partner interni (manager, comandanti, piloti). Mentre resta in stand-by la posizione di Etihad che possiede ancora il 49 per cento della compagnia. Ci sarà poi tempo fino al 3 novembre per migliorare le proposte, sempre che non arrivi una proroga, a questo punto piuttosto probabile.

Non è chiaro se le offerte riguardera­nno l’intera Alitalia, come sperano i commissari e il governo,

oppure se verranno separati i servizi di terra dal trasporto aereo. Comunque andrà e chiunque riuscirà a prevalere, due cose sembrano certe: il perimetro dell’azienda non sarà lo stesso (ciò significa tagli alle retribuzio­ni e al personale). Oggi l’Alitalia ha 11 mila dipendenti e gli analisti stimano che potrebbero uscirne 3-4 mila. Una ristruttur­azione, insomma, che ha una portata simile a quella annunciata dalla nuova Ilva.

Paolo Gentiloni, rivelatosi abile nocchiero in acque turbolente, potrà reggere a queste bufere gonfiate dall’avvicinars­i delle urne? Lo stop di Calenda sull’Ilva, in stile protezioni­smo alla francese, non ha placato le opposizion­i di sinistra e di destra pronte a cavalcare fino in fondo la protesta. All’Alitalia, il 24 aprile scorso un referendum dei dipendenti aveva avuto appoggi politici trasversal­i in funzione anti-governativ­a (si era distinto allora il Movimento 5 stelle) e aveva bocciato un accordo per il salvatag-

gio che prevedeva sacrifici molto inferiori - il piano industrial­e di Etihad indicava circa 1.000 esuberi e riduzione degli stipendi - aprendo così la strada all’amministra­zione controllat­a. Il rischio immediato è che Ilva e Alitalia vengano congelate e restino sul groppone dei contribuen­ti. È con denaro pubblico, infatti, che stanno in piedi le due aziende, fino alle elezioni. Poi, chi vincerà vedrà.

Ma quante crisi aziendali si nascondono sotto il tappeto e oscurano le statistich­e positive su crescita e occupazion­e che l’Istat non smette di sfornare?

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I tagli che i nuovi proprietar­i di Alitalia potrebbero chiedere, intervento più penalizzan­te di quello ipotizzato da Etihad e respinto con il referendum.
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 ??  ?? Gli esuberi previsti dalla nuova proprietà dell’Ilva, il gruppo anglo-indiano Mittal (3 mila soltanto a Taranto).
Gli esuberi previsti dalla nuova proprietà dell’Ilva, il gruppo anglo-indiano Mittal (3 mila soltanto a Taranto).

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