Con la sua tromba ha «battuto » i Rolling Stones
Roy Paci ha all’attivo ben 5 mila concerti, il doppio di quelli di Jagger. Ha suonato ovunque, ma sogna un palco nella sua Augusta. Celebrata nel nuovo disco.
La prima volta che ho imbracciato la tromba ho sentito un brivido lungo la schiena. Sono rimasto folgorato, un po’ come John Belushi quando “vede la luce” in una delle scene cult di The Blues Brothers ». Si racconta così Roy Paci, trombettista e cantautore siciliano, classe 1969, partito da Augusta, in provincia di Siracusa, alla conquista del mondo. Nel suo curriculum ci sono centinaia di collaborazioni importanti, da Manu Chao al New York Ska Jazz Ensemble, da Vinicio Capossela ai Subsonica, e... cinquemila concerti. Un numero impressionante, se si tiene conto che i Rolling Stones dal 1962 ad oggi si sono esibiti all’incirca duemila volte.
Non è esagerato dire che il palco è la sua seconda casa.
Io e la mia band, gli Aretuska, viaggiamo su una media di duecento show l’anno. Per noi quella porzione di spazio fisico che si chiama palcoscenico ha preso le sembianze di un’abitazione. Ognuno ha il suo spazio: c’è chi si occupa del salotto, chi del corridoio, chi della cucina. Conviviamo e discutiamo molto. Come succede in tutte le famiglie...
La contaminazione tra suoni di diverse aree del mondo è ben presente nel suo ultimo album con gli Aretuska, Valelapena (a cui ha collaborato anche Daniele Silvestri). Questa volta, tra le fonti di ispirazione, ci sono anche le mitiche Wedding Band di Jaipur, in India.
Ero in città per le riprese di un film indiano. Una casa di produzione indipendente mi aveva chiamato per un cameo da trombettista a bordo di un carretto. Quando ho visto sfilare i musicisti di una wedding band, ho abbandonato il set e mi sono messo a suonare per strada con loro. C’era un casino infernale: fiati, trombe, flauti, oboe e percussioni. Il tutto con un’intonazione che oserei definire opinabile. D’altra parte il suono unico e inimitabile di una banda è fatto anche dalle stonature e dalle imperfezioni.
Il concetto di banda mi attrae irresistibilmente da sempre perché è bellezza popolare, espressione della cultura e delle radici di un territorio. Io ho iniziato a 12 anni, in Sicilia, con la Hot Jazz Orchestra. Non riuscivo a stare in piedi, mi si piegavano le ginocchia per l’emozione.
A proposito di radici: in Valelapena ha dedicato una canzone alla sua città natale, Augusta, dove per ironia della sorte non si è mai esibito.
Augusta ha l’andamento di una favola: racconto la mia infanzia siciliana, il tempo sul lungomare Gioacchino Rossini, quando ancora c’erano le saline e io rubavo ai pescatori i gamberetti che utilizzavano come esca. In quel brano c’è l’atmosfera del Cuntu, una sorta di rap primordiale dell’Ottocento, quando i narratori di piazza raccontavano le storie dei cavalieri carolingi dell´opera dei pupi battendo il bastone a terra per tenere il ritmo. Quanto a me, purtroppo è vero, negli ultimi vent’anni, da quando suono con gli Aretuska, nessuno mi ha mai contattato per suonare ad Augusta.
Ormai ci ha rinunciato?
Niente affatto: sono sicuro che prima o poi questa sorta di maleficio svanirà.
Che cosa le ha insegnato condividere il palco con un performer straripante come Manu Chao?
Manu gestisce il palco come pochi al mondo, ha un’energia impressionante e una gestualità irresistibile. Impone l’improvvisazione, e la governa magistralmente: quando vuole un intervento dei fiati, alza leggermente una spalla e tutti capiscono al volo. E così fa con gli altri strumenti. Sul suo palco vige poi la regola ferrea del buonumore, i musicisti si guardano e sorridono l’uno all’altro durante la performance. Questo crea un’atmosfera bellissima e annulla qualsiasi stanchezza o malumore. Sono molto orgoglioso di aver dato il mio contributo alla sua band, i Radio Bemba, forse il più grande gruppo live degli ultimi decenni.
Che cosa significa vivere su un «tour bus» più della metà dei giorni di un anno?
Dal punto di vista della cura di se stessi è un disastro totale: piovono acciacchi. Detto questo, è un’esperienza di vita meravigliosa. Viaggiamo tutti insieme con la musica a palla. Siamo in tanti, come una squadra di calcio comprensiva di riserve, ma da noi nessuno sta in panchina, siamo tutti titolari. Dai musicisti ai tecnici. Un concerto viene bene solo se funziona il team, altrimenti non c’è storia.