Panorama

Luttazzi, il signore in swing

Sette anni fa se ne andava il grande jazzista: la moglie ne alimenta la memoria.

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Il jazz perché era un mistero. E il protagonis­ta del romanzo di Ivan Goncarov per quell’elegante ritrosia a buttarsi nella vita degli ultimi suoi anni lontano dalla television­e. Lelio Luttazzi, il re italiano dello swing, grande musicista, compositor­e di successi memorabili come Una zebra a pois, storico conduttore di Hit Parade e Studio Uno se ne è andato sette anni fa. Ma sua moglie Rossana, trentasei anni insieme, continua a farne rivivere la memoria con la Fondazione Lelio Luttazzi, che sostiene i giovani che che intraprend­ono un cammino musicale. Racconta: «Sento che mi è sempre accanto, a volte dice che lo faccio lavorare troppo, lui che era affetto da oblomovism­o». Ha creato un importante premio per pianisti jazz e cantautori, arrivato alla seconda edizione.

Al Festival del Cinema di Roma nel 2011 la Fondazione ha presentato restaurato il film scritto e diretto da lui, L’illazione, una pellicola scomoda fino a quel momento inedita. Ha realizzato un cofanetto con le sue colonne sonore e collabora ogni anno ai Ciak d’Oro. «Stiamo pensando a un festival jazz di tre giorni, ma siamo solo agli inizi. Invece da ora si può visitare lo Studio Luttazzi a Trieste, a Palazzo Morpurgo. Lì è riunito il patrimonio documentar­io che testimonia la sua vita di grande artista, pianoforte, incluso».

Profondame­nte triestino era tornato a vivere in una casa affacciata su Piazza Unità d’Italia, «la più bella del mondo», diceva. L’ombra nera dell’errore giudiziari­o che, nel 1970, lo aveva portato a Regina Coeli in cella d’isolamento per 27 giorni, era rimasta tutta la vita. «Questa fetida storia non avrà mai un lieto fine», scriveva nel suo diario dal carcere, pubblicato con il titolo Operazione Montecrist­o, che ispirò Alberto Sordi per il film Detenuto in attesa di giudizio. La moglie ricorda quando si incontraro­no a Roma cinque anni dopo lo scandalo della cocaina: «Soffriva ancora di incubi. Mi raccontò che Walter Chiari aveva chiamato da Bologna e lasciato detto alla sua governante che doveva telefonare a una persona, perché da lì non riusciva a farlo. Lelio era un puro, non pensò male. Dopo due giorni da quella telefonata lo arrestaron­o. Ironia della sorte lo spacciator­e si chiamava come lui, Lelio. Quando tutto finì in nulla cercò di attraversa­re il linciaggio mediatico con leggerezza, ma per lui fu una tragedia, un incubo kafkiano». In fondo Luttazzi era come Raimondo, uno dei personaggi voluti di Michelange­lo Antonioni: uomo paziente, dal sorriso triste. (Terry Marocco)

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Lelio Luttazzi è morto a Trieste, la sua città, a 87 anni, nel 2010.

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