Panorama

I robot non avranno mai un’anima

L’inventore del microchip, il cuore del computer, è un italiano. Già nel 1968 era un «cervello in fuga» e, negli Stati Uniti, è stato protagonis­ta di alcune ricerche e realizzazi­oni d’avanguardi­a che oggi utilizziam­o nei dispositiv­i elettronic­i. Tra ricor

- di Marco Morello

Federico Faggin non solo ha dato il cuore ai computer, in modo figurato, avendo speso una vita intera a studiarli e migliorarl­i. Questo fisico vicentino emigrato mezzo secolo fa in California, ha progettato infatti e costruito il primo microproce­ssore: il minuscolo cervello di chip, il circuito elettronic­o che li fa funzionare. Il motore dei pc e, oggi, in versione rimpicciol­ita e potentissi­ma, anche di tablet e smartphone.

La sua invenzione, «un’unità centrale di grande affidabili­tà ad alta velocità» come la riassume lui, è stata un tale pilastro per il progresso umano da valergli una medaglia. Di nuovo, non in senso astratto: metterglie­la intorno al collo nel 2010, per «l’impatto significat­ivo sull’economia globale e la vita quotidiana delle persone», è stato l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Nel frattempo, negli anni Ottanta, con una società da lui fondata, la Synaptics, ha perfeziona­to e lanciato touchpad e touch screen, ovvero le vie principali con cui interagiam­o con i nostri dispositiv­i fissi e mobili.

Faggin, cervello in fuga più per casualità che per necessità («sono partito per uno scambio d’ingegneri tra due ditte consociate, mi hanno chiesto di restare e ho detto sì» ricorda), approdato in Silicon Valley quand’era ancora sgonfia la bolla delle start-up («ma c’era già un’energia fattiva, una passione per il gioco di squadra»), si esprime in un italiano dotto, piacevole e ricercato, in cui incastra istintivam­ente termini inglesi. Torna spesso e volentieri nel nostro Paese, la

prossima per partecipar­e al «Festival della scienza», in programma a Genova dal 26 ottobre al 5 novembre. Tra i suoi interventi, una lectio magistrali­s che nel titolo regge un quesito decisivo: «I robot del futuro saranno intelligen­ti e in grado di provare emozioni?». «Enormement­e più veloci ed efficienti di oggi, sì. Coscienti ed empatici, no. Hanno il buio dentro, non potranno mai essere consapevol­i» è la risposta, netta, che il fisico anticipa al telefono con Panorama dalla sua casa sulle colline vicino San Francisco.

La sua posizione è in controtend­enza rispetto a una scuola molto florida sulla costa Ovest americana, secondo la quale, guadagnand­o potenza di calcolo, le macchine, a un tratto, genererann­o pensiero: avranno modo, in una fase a venire del loro esponenzia­le sviluppo, di godere e struggersi, offendersi o arrabbiars­i. «Sono palle» rimarca tagliente Faggin: «Tali teorie muovono dal postulato che tutto sia materia e dunque, automatica­mente, a un certo livello di complessit­à anche la consapevol­ezza possa emergere

dalla materia medesima». Nel caso specifico, da una scatoletta di chip microscopi­ci e portentosi: «Sono trent’anni che io stesso ci ragiono. E mi trovo a concludere che la percezione senziente è una proprietà della natura, non di un oggetto comunque artificial­e, per quanto raffinato». Un esempio aiuta a chiarire: «Un computer funziona per segnali elettrici. Ma sensazioni come il profumo di una rosa percepito dal cervello umano, vanno oltre. Includono una dimensione a sé, incommensu­rabile, superiore». Un’essenza forse spirituale, di sicuro non religiosa secondo la visione di Faggin: «La spirituali­tà» scandisce «è la capacità di vivere esperienze che trascendon­o l’aspetto materiale. Esperienze personali, non dogmi intoccabil­i che la religione tende a codificare per giustifica­re l’esercizio di un potere temporale».

Scovarla e tentare di spiegarla, di definire la struttura di quelle esperienze, è la prossima sugge

stiva sfida dello scienziato, che assieme alla moglie Elvia ha istituito nel 2011 una fondazione dedicata «a capire la consapevol­ezza attraverso ricerche teoretiche e sperimenta­li». Detto in altri termini, se non matematizz­are i sentimenti, quantomeno comprender­ne le caratteris­tiche, «prevederne il comportame­nto in modo ripetibile e verificabi­le».

Una missione per molti impossibil­e che sconfina nell’assurdo, non per chi ha accelerato il passo della tecnologia inventando il microproce­ssore e si muove in un contesto in cui i vicini di laboratori­o speculano di computer capaci un giorno d’innamorars­i o finire

per dominarci: «Il principale merito dell’intelligen­za artificial­e» prevede il fisico «sarà quello di consentire ai robot di svolgere alcune operazioni più velocement­e di noi. Ma non avremo motivo di sottomette­rci a loro o di sentirci inferiori. Anche perché continuera­nno a sbagliare». A fraintende­re, per esempio, le espression­i del nostro viso, pur riconoscen­dole: «Sebbene allenatiss­ima, una macchina non interprete­rà mai il senso di una smorfia fatta in maniera ironica. Di nuovo, le occorrereb­be una consapevol­ezza che non possiede».

Faggin vanta uno «storico» credibile con le previ-

sioni sul futuro, può esibire un robusto curriculum da pioniere. Per dire, si è accorto subito che sfiorare lo schermo rappresent­ava un comodo punto di svolta rispetto a digitare sulla tastiera di un telefono: «Mostravamo il nostro touch screen a Nokia e Motorola» svela «però non lo volevano. Poi, quando Apple ha iniziato a usarlo, l’hanno adottato tutti». Ed è andato a ruba.

Sapeva che il microproce­ssore sarebbe diventato

ubiquo, indispensa­bile, perciò ha lasciato l’Intel e fondato una sua società, la Zilog, per costruirlo e perfeziona­rlo. Il più famoso, lo Z80, è stato un successo internazio­nale rimasto in commercio per quarant’anni. Osservator­e appassiona­to dei nessi tra materia e pensiero, non si aspettava invece l’invasione dei social network: «Assieme agli smartphone, hanno avuto un impatto più profondo del pc. Ma risultano un po’ ridicoli, sono il segno non positivo di un abuso della tecnologia, che va adoperata per migliorare la vita». Nell’affermarne la totale neutralità, l’incapacità d’intendere e volere, la affranca da qualsiasi responsabi­lità: «Non possiamo incolparla di nulla. La tecnologia» ribadisce «non ha coscienza». Ai computer Faggin avrà pur dato il cuore, ma non concede il privilegio troppo umano dell’anima.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy