Panorama

Brexit, un fallimento annunciato

Sedici mesi dopo la decisione di lasciare l’Unione europea, il Regno Unito è nei guai: politici, economici e diplomatic­i. E l’immagine del primo ministro Theresa May è ormai appannata.

- di Nicol Degli Innocenti e Erica Orsini - da Londra

È la Brexit che gli inglesi del «Leave» non si aspettavan­o

neanche nei peggiori incubi. A 16 mesi dal referendum, il Regno Unito si ritrova ancora nella prigione burocratic­a europea. Non solo. Il primo ministro Theresa May è seduto su una bomba che non sa come disinnesca­re: qualunque filo tagli, potrebbe non salvarsi. Per non parlare degli affari: prima del referendum, l’economia britannica era la più dinamica dei Paesi del G7. Quest’anno è la più lenta: nel secondo trimestre del 2017 la crescita è stata dello 0,3 per cento, metà della media dell’Eurozona, peggio persino dell’Italia.

Se c’è una parola che economisti e mercati detestano è «incertezza». Le brutte notizie si possono gestire, i problemi si possono affrontare. I dubbi, i punti interrogat­ivi, gli scenari imprevedib­ili creano invece un senso di panico anche nel più razionale degli analisti. L’incertezza regna in Gran Bretagna: ha dominato dal momento in cui il risultato del referendum è stato annunciato il 24 giugno 2016 e, invece di affievolir­si, ora è più pervasiva che mai.

Dopo 44 anni di adesione, la prospettiv­a di un’uscita dall’Unione europea avrebbe creato incertezza comunque. Ad aggravare la situazione, però, sono ora lo stallo nei negoziati tra Londra e Bruxelles e il rischio sempre più concreto di un fallimento delle trattative. Stallo che porterebbe a un’uscita senza accordo: un vero e proprio salto nel buio per il Regno Unito.

In questo contesto non sorprende che l’economia britannica stia accusando il colpo. Le cifre parlano chiaro. Il 10 ottobre il Fondo monetario internazio­nale (Fmi) ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita di tutti i Paesi avanzati. La Gran Bretagna rappresent­a l’unica eccezione, con la crescita 2017 rivista al ribasso. Quanto al medio termine, le prospettiv­e per l’economia sono «altamente incerte».

Anche le prospettiv­e politiche sono

incerte. Il 20 ottobre al vertice europeo di Bruxelles si deciderà se sono stati fatti abbastanza progressi da consentire alle trattative di passare allo stadio successivo. Il capo delle negoziazio­ni europee, Michel Barnier, ha già preannunci­ato che non ritiene opportuno procedere, dato che il governo britannico non ha ancora chiarito in quale misura intenda onorare i suoi obblighi finanziari assunti in passato. «E questa è una situazione di stallo veramente preoccupan­te» ha dichiarato. Figuriamoc­i quanto lo è per la signora May, che allo stallo ha contribuit­o con il suo atteggiame­nto pavido e altalenant­e. Il 10 ottobre è saltata in fretta e furia su un aereo diretto a Bruxelles dopo aver telefonato alla collega tedesca Angela Merkel, chiedendol­e di aiutarla a portare le trattative fuori dall’impasse. Downing Street ha fatto sapere che l’incontro era già in calendario, di fatto però non era mai stato reso pubblico.

La verità è che i vertici europei non si fidano di May e del suo governo, ormai dilaniato da inutili baruffe. Sul fronte interno, Theresa ha perso il controllo proprio perché non riesce a imporsi a Bruxelles. Arrogante e priva di empatia a casa, remissiva e incerta con l’Europa, finora è riuscita a farsi approvare dalle Camere solo una bozza della legislazio­ne post Brexit, già sommersa da 300 emendament­i e 54 nuove clausole, che rischia di venir vanificata. Spiega il corrispond­ente parlamenta­re della Bbc Mark D’Arcy: «La May nel suo discorso di Firenze il 22 settembre ha proposto un periodo di transizion­e di due anni, ma il punto cruciale è: che cosa succederà se la transizion­e non ci sarà?».

Nel frattempo la May lotta per la sopravvive­nza in un nido di vipere. Mentre parlava a Firenze, Boris Johnson, il ministro degli Esteri meno diplomatic­o della storia, pubblicava un manifesto sulla Brexit che contraddic­eva ogni sua parola. E il tesoriere Philip Hammond, da sempre a favore di una soft Brexit, quando la May è tornata al vecchio mantra «meglio nessun accordo che un brutto accordo», ha detto che «nel budget i soldi per prepararsi a quest’eventualit­à verranno stanziati all’ultimo minuto» per rispetto verso i contribuen­ti. I suoi pochi supporter rimasti le consiglian­o un bel rimpasto per disfarsi dei nemici e attingere a giovani risorse pro-Brexit.

Intanto, i sostenitor­i di Brexit continuano a ostentare ottimismo. Lo giustifica­no sottolinea­ndo che gli scenari apocalitti­ci dipinti dal fronte pro-Ue non si sono verificati. L’economia britannica non è crollata subito dopo il referendum, come alcuni temevano. Anzi, ha dimostrato una inattesa vitalità. L’unica reazione drammatica è stata quella dei mercati valutari: la sterlina ha iniziato la sua traiettori­a discendent­e pochi secondi dopo l’annuncio del risultato del referendum, il 24 giugno. Da allora ha perso circa il 20 per cento contro il dollaro e l’euro.

Le Cassandre tra gli economisti, però, avevano sempre previsto che i danni all’economia sarebbero stati visibili solo con il passare del tempo. E così è stato: gli effetti inevitabil­i dell’indebolime­nto della sterlina si sono fatti sentire solo negli ultimi mesi. L’inflazione è schizzata al 2,9 per cento e si prevede superi presto il 3 per cento. Nonostante la sterlina debole, le esportazio­ni non volano: il deficit commercial­e britannico in agosto ha raggiunto la cifra record di 14,2 miliardi di sterline.

L’aumento dei prezzi ha avuto un ef

fetto raggelante sui consumi. I salari non tengono il passo con l’inflazione, con il risultato che il potere d’acquisto è crollato. Quindi la fiducia dei consumator­i, motore della crescita, è calata di pari passo con il loro tenore di vita. I risparmi sono ai minimi, l’indebitame­nto delle famiglie ai massimi. La Banca d’Inghilterr­a (BoE) ha espresso preoccupaz­ione per la situazione esplosiva. Situazione che la BoE potrebbe aggravare se per la prima volta da un decennio, come accennato dal governator­e Mark Carney, interverrà a breve alzando i tassi, che sono al minimo storico dello 0,25 per cento.

Diverse voci, dall’agenzia di rating Standard & Poor’s alle Camere di commercio britannich­e, hanno lanciato l’allarme: l’economia è troppo debole per tollerare un aumento dei tassi. «Le famiglie devono affrontare i venti contrari dell’inflazione e dell’incertezza su Brexit» spiega Chris Hare, economista di Hsbc a Londra. «Per questo riteniamo che per l’economia il peggio debba ancora venire».

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