Per cento
pellita da una valanga di emendamenti, depositati alla Commissione Affari costituzionali del Senato. Sono 224, per l’esattezza. Molti li ha firmati Ugo Sposetti, l’ex tesoriere dei Ds. Il più odioso sollecita per i nostri parlamentari la stessa pensione dei colleghi europei: assegni più ricchi e a partire dai 63 anni. Ben quattro anni prima dell’italica plebe. Da una parte, quindi, il governo applica inflessibilmente norme che trasformano per tutti l’addio al lavoro in una chimera. Dall’altra, come il beffardo Marchese del Grillo, i politici fanno ostinata melina. Nel mentre, le disuguaglianze toccano il culmine: a deputati e senatori bastano quattro anni, sei mesi e un giorno per intascare a 65 anni la pensione. I comuni mortali, invece, maturata la stessa anzianità, devono aspettare i 70.
La distanza si allunga sideralmente con l’eventuale prosieguo del mandato. Ogni anno in più sugli scranni permette di anticipare progressivamente il vitalizio. Fino ad arrivare a 60 anni, che servono a chi ha terminato almeno due legislature. E qui la distanza con il popolo peone diventa sbalorditiva: una decade d’anticipo. Solo vent’anni di contributi permettono al comune cittadino di prendere la pensione a 67 anni: sempre assai più tardi dei 60 anni utili a un parlamentare di medio corso.
Alla Camera e al Senato l’ultimo liberi tutti è scattato il 15 settembre scorso: quel giorno, i 930 eletti hanno maturato il diritto all’agognata rendita. Eppure, a febbraio, l’ex premier Matteo Renzi giurava: «Per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L’unica cosa è evitare che scattino i vitalizi perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini. Sarebbe assurdo». Già, assurdo. Ma inseguire i Cinque stelle ha portato il Pd, dopo il pasticcio della mozione su Bankitalia, solo all’ennesimo testacoda. Tanto rumore per nulla. Il colpo gobbo che diventa boomerang.
La disputa sulla previdenza, nel mentre, deflagra. I sindacati annunciano fuoco e fiamme. L’Inps comunica di aver respinto il 70 per cento delle domande di Ape sociale, unico escamotage rimasto per ottenere l’anticipo dell’assegno. E Padoan paventa ulteriori innalzamenti con il miglioramento dell’aspettativa di vita: un’altra di quelle norme che non tange i politici. Tecnicamente si chiama «coefficiente di trasformazione» e serve a calcolare la pensione. Un valore che viene rivisto al ribasso ogni tre anni, all’aumento della speranza di vita. Così, dal 2013, gli importi si sono abbassati. Per tutti. Ma non per i parlamentari: il loro è l’unico coefficiente rimasto immutato. Insomma, come Dorian Gray, onorevoli e senatori non invecchiano mai. E non è l’ultima iniquità: per i cittadini qualsiasi, il reddito oltre i 100 mila euro non contribuisce ad accumulare Di tanto si abbasserebbero i vitalizi dei politici, secondo i calcoli dell’Inps, se gli assegni venissero ricalcolati con il metodo contributivo che la legge Fornero ha esteso nel 2012 a tutti i lavoratori. Klotz, la pasionaria che al grido di «Süd-Tirol ist nicht Italien!» chiedeva il distacco da Roma. L’anno scorso, dopo 31 anni nel Consiglio provinciale di Bolzano, ha chiesto la liquidazione dei contributi: 560 mila euro netti. Mentre il collega Walter Baumgartner s’è accontentato di 460 mila. Solo nei prossimi due anni, altri 14 ex consiglieri, raggiunti i 60 anni, matureranno il diritto. Potranno scegliere: o un assegno mensile da 4.127 euro lordi, oppure il comodo versamento in un’unica soluzione. E ci sono regioni, come il Molise, prevedono perfino il rimborso dei contributi nel caso in cui i consiglieri non abbiano raggiunto il periodo minimo di versamenti. In Campania, poi, rendita eterna viene concessa pure agli assessori non eletti: professionisti di fiducia nominati dal governatore. Squisitezza di cui non godono nemmeno i ministri tecnici. E che perfino l’Assemblea regionale siciliana, inespugnabile torre eburnea della casta, ha provveduto a cassare.
Una Babele di privilegi che stride sempre di più con i sacrifici chiesti ai lavoratori. Persino Tito Boeri, il presidente dell’Inps, tre mesi fa è sbottato: «Sui vitalizi, la Camera prende in giro gli italiani». Fiato sprecato. Il teorema non cambia: cittadini e i politici rimangono due rette parallele. Destinate a non incrociarsi mai.