Riforma Fornero
So che la viene dipinta come famigerata, ma non è così. Chi, oggi, per motivi elettorali, spinge sulla retorica e minimizza i drammatici conti dell’Inps, gioca col fuoco e con il welfare di domani.
Le pensioni sono un argomento intoccabile. Lo sa bene Elsa Fornero, che avendo fatto l’unica riforma che possa seriamente dirsi strutturale negli ultimi dieci anni, è stata destinataria di un tentativo di referendum noto come «anti Fornero», fortunatamente respinto dalla Corte costituzionale. Per certi aspetti, è comprensibile che modificare il sistema pensionistico sia un’impresa. I pensionati sono un bacino elettorale ampio, ma soprattutto la reattività dei sindacati quando si parla di mettere mano al sistema previdenziale non ha pressoché uguali.
La spesa per le pensioni in Italia è in un calderone dove finiscono anche le voci di spesa assistenziale. Non si può però curare un malato se non gli si può fare un’esatta diagnosi. Ancora, le considerazioni di finanza pubblica non possono prescindere dalle aspettative che hanno gli attuali titolari di pensioni, comunque la si pensi sui diritti acquisiti.
Infine, è molto diffusa, anche tra i cittadini, l’idea secondo cui il carico della spesa pensionistica tutto sommato sia sopportabile perché le pensioni funzionano da ammortizzatore sociale nelle famiglie: figli e nipoti non lavorano, genitori e nonni li aiutano. Un’idea curiosa, questa, non solo di futuro, ma anche di sostenibilità, dal momento che comunque la spesa pensionistica qualcuno la dovrà finanziare.
La riforma Fornero partiva proprio da queste vulnerabilità del sistema per fare l’unica cosa possibile: delle due variabili di cui si compone la previdenza (età e soldi) ha modificato la prima, tenendo conto delle diverse e migliori aspettative di salute e di vita.
Intanto, un lavoro di cesello tra governo e Corte costituzionale ha permesso di iniziare a parlare di quanto costano i diritti. Una decisione della Consulta di questi giorni, ritenendo legittimo il bonus sul blocco della perequazione dei trattamenti pensionistici, ha stabilito che la disciplina transitoria voluta dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti realizzi un bilanciamento «non irragionevole» tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica. Si tratta di una decisione importante nell’indicare la (nuova) consapevolezza della Corte che i diritti costano, e che un bilanciamento tra le ragioni intergenerazionali è fatto anche di numeri, e non solo di posizioni aprioristiche.
Come dimostra la vicenda della perequazione delle pensioni, la strada dell’equità intergenerazionale è irta di ostacoli, perché la coperta è corta e perché da un lato lo Stato si sta giocando il welfare di domani con il costo di quello attuale, dall’altro non dovrebbe rinegoziare quanto già pattuito. Per questo, non si può prescindere dallo sforzo fatto dall’allora ministro Fornero.
Il governo Gentiloni probabilmente non farà nessun atto politico prima della fine della legislatura, se non mettere in discussione l’adeguamento automatico dell’età pensionabile. Potrà farlo per tutti i lavoratori, abrogando l’adeguamento automatico, o, come sembra in queste ultime ore, potrà farlo per categorie. Sarebbe comunque una grave smentita dell’unico sguardo al futuro che la politica ha avuto negli ultimi anni.