LA CITTÀ CHE NON HA PAURA DI CAMBIARE
Un grande scrittore americano della nuova generazione rappresenta l’irresistibile attrazione di New York. È qui che Panorama per tre giorni, nella prima tappa all’estero del suo tour, ha scelto di raccontare il meglio dell’Italia.
Erano la prima cosa che ti colpiva quando uscivi dal terminal degli autobus dell’Autorità portuale e mettevi piede a Manhattan: le accecanti insegne al neon all’angolo della 42ª strada, una rossa che diceva «Peep Land» e una blu che diceva «Peep-o-Rama». O forse Peep-o-Rama era la rossa e Peep Land quella blu, non mi ricordo qual era l’una e quale l’altra. Ma quasi tutti gli altri ricordi di quel luogo e di quel momento - l’estate dei miei diciassette anni, la mia prima volta a New York - hanno lasciato tracce indelebili dentro di me. Insolenti piccioni appollaiati sulle travature reticolari dell’autosilo; un odore di sale misto a sudore e unto, come un sospensorio buttato in fondo all’armadietto di una palestra; rumori di martelli pneumatici da qualche parte, dappertutto. Tutta l’umanità accalcata sui marciapiedi. Anche mentre un poliziotto con i guanti bianchi fischiava alle auto nel traffico e i nuovi arrivati aspettavano un segnale per tuffarvisi, i peep show erano lì, ammiccanti, proprio come la Statua della Libertà ammiccava a chi arrivava a Ellis Island un secolo prima.
La cosa più difficile da ricordare adesso è a cosa servissero esattamente i peep
show. Dopotutto non erano più i tempi «cupi» degli Anni 70, ma eravamo a metà Anni 90, quando il sindaco Giuliani era impegnato a «ripulire le strade». Se per certi versi New York era ancora la città di
Un uomo da marciapiede, per altri era anche la città di Friends. Qui, sull’8ª avenue, la folla agognava la libertà… e laggiù, a Broadway, dopo il Peep Land e il Peep-o-Rama, c’era l’enorme locandina dorata del musical Il re Leone, per gentile concessione della Walt Disney Corporation. E forse il fascino di New York era proprio questo: il conflitto di valori e lo scontro su quale fosse la vera identità della città. Nell’hinterland in cui sono cresciuto, le tensioni, le contraddizioni e i misteri rimanevano celati tra le mura domestiche, proprio come la sessualità. New York, per contro, metteva in piazza tutto questo, non come una ferita da coprire, ma come un tatuaggio da esibire. E così, per quanto squallidi fossero i peep show, oltre che tristi e senza dubbio basati sullo sfruttamento (da ragazzo del sud, sono sempre stato troppo timido per entrarci), con il loro bagliore sembravano promettere qualcosa di più stravagante, caotico e tollerante delle diversità di qualsiasi altro luogo che fino a quel momento avevo chiamato casa. Basta scavare nella letteratura per trovare tante «prime volte a New York» quanti sono i nuovi arrivati in questa città. Negli Anni 20 il giovane E. B. White scrive di avere una «lieve ma costante febbre di eccitazione» data dal trovarsi sulla stessa isola con giganti... i cui nomi apparivano regolarmente sui giornali». Joan Didion, trent’anni dopo, scrive di essersi fermata «in Lexington Avenue, aver comprato una pesca e averla mangiata in piedi all’angolo, pensando che lei, ragazza dell’ovest, aveva raggiunto il miraggio». E se quel primo incontro è sempre, necessariamente, un sogno, è pur sempre un sogno a cui aggrapparsi e cullarcisi per qualche tempo. Nel mio caso, la New York degli scontri tra culture e dei confronti impossibili sarebbe diventata la mia casa per i due decenni successivi. Ricordo di essermi nascosto dalla polizia sui tetti dell’East Village, di aver cantato le canzoni di Tina Turner con alcune drag queen alle tre del mattino, di essermi arrampicato fino a metà di un cavo in acciaio del ponte di Brooklyn per poi girarmi e scendere nuovamente. E poi mi ricordo le giornate tranquille trascorse con la gente della porta accanto: Anthony il macellaio, Jamel il fornaio, Frances il pensionato, Libby la barista. Con la paura che mi sarei perso qualcosa, non mi sono mai allontanato per più di un weekend. Io e mia moglie non ci siamo mai allontanati. Eppure, a un certo punto - e forse è proprio quello il momento in cui inizi a