APPUNTAMENTO IL 3 DICEMBRE
Osservando per deformazione professionale tutti quelli che, come me, hanno un corpo «poco efficiente», penso alle variegate forme di personalità che ognuno di noi rappresenta. Sembra invece che l’unica cosa ad apparire evidente sia l’appellativo generico di «persona seduta sulla sedia a rotelle», un involucro vuoto senza pensieri né sentimenti.
Ci metto la faccia nel dire che la colpa di questo «errore di comunicazione» è da addebitare ai rapporti che uniscono l’insieme degli individui, del modello di vita scelto, insomma della società. Non di quelle società all’avanguardia, come Francia e Svizzera, nel campo della psicologia perinatale: nei ospedali di questi due Paesi gli psicologi accompagnano la famiglia dove sta per nascere un bambino dalla gravidanza ai mesi successivi al parto, perché ogni genitore, oltre alla gioia, sperimenta dubbi, ansie e paure relative al nuovo ruolo che lo attende.
Così come non si insegna a essere genitori, non si insegna neanche a guardare oltre la disabilità. Tutte e due le esperienze necessitano di una preparazione per accettare l’altro come diverso da sé, sia il genitore, sia chiunque si trovi di fronte a un individuo disabile. Sia in un caso sia nell’altro, fino a questo punto, non si possono ascrivere colpe. Se l’unico modo per imparare è far ricorso alla propria esperienza un padre e una madre sono stati figli e, in ricordo di ciò agiscono, o seguendo oppure opponendosi al modello.
Ma nei confronti della disabilità, quanti possono vantare un’esperienza concreta? Quanti possono pescare nei loro ricordi? Le scuole materne dovrebbero fare a gara per avere nelle loro classi un campionario di umanità il più variegato possibile, multiculturale e pluriminorato. Il bambino con la sua giocosità, la sua creatività, il suo stupore, nel confrontare capisce senza giudicare, e potrebbe diventare un adulto che davvero non
si fa condizionare.
Non vorrei che lasciando le cose così come stanno, qualche giorno ci capiterà di leggere sui giornali che un genitore, in vacanza con i propri figli in un villaggio turistico, si lamenti del fatto di non essere stato messo al corrente che, nella stessa settimana, i suoi figli avrebbero dovuto condividere la location con «una miriade di ragazzi disabili»; o che un automobilista, multato per aver posteggiato in un parcheggio riservato ai disabili, si prenda la briga di scrivere un cartello offensivo nei confronti della disabilità.
Mi dicono che sia successo proprio questa estate. Ma io non voglio crederci. Allora sì che non ci sarebbe più speranza di salvezza per l’umanità!