LA STORIA DELLO ZOO CHE SALVAVA GLI UOMINI
un’attore. Ma stavolta ho fatto un’eccezione perché American assassin è il decimo della serie, una sorta di origin story di Mitch Rapp, la giovane recluta che il mio personaggio deve addestrare. E volevo conoscere più sfumature possibile del loro rapporto. Con che criterio sceglie i film che le propongono? Prediligo qualcosa che non ho ancora fatto, non cercate coerenza nei miei ruoli. Mi annoio molto facilmente, e la vita è troppo breve per sprecarla con la ripetitività. Stan Hurley è un duro, che cerca di nascondere la sua umanità, perché in passato è spesso rimasto deluso dai suoi allievi. È un film d’azione che mi piace definire intelligente, fa pensare. Affronta temi che si vedono nei telegiornali, senza i soliti cliché dei film di spionaggio. È stato difficile rientrare in forma? Il vantaggio di vivere molto nel ranch del Montana all’aria aperta, è anche quello di essere attivo fisicamente. Preferisco hiking e jogging alla palestra. Tagliare legna è meno noioso che sollevare pesi. Ha mai fatto film solo per soldi? Certo, ma non dirò quali. Come tutti, avevo bollette da pagare, e mandare mio figlio al college. Però rinunciò a 15 milioni di dollari per fare un terzo film su Batman… Credo che sia stata la decisione più saggia di tutta la mia vita. Non c’era più lo stesso regista, Tim Burton, con cui ero in perfetta sintonia. Sono reduce dal set del suo Dumbo, la versione live del capolavo- ro Disney, in cui interpreto il proprietario del circo. Prima o poi faremo il sequel di porcello, di cui parliamo da 30 anni. In American assassin addestra allievi. Lei ha avuto qualche mentore? Penso soprattutto a Robert Duvall, uno che bastava guardarlo per imparare. E Jack Nicholson, maestro di vita oltre che di recitazione. Quando abbiamo fatto il primo Batman, mi ha detto: «Dopo questo film ti potrai permettere tutti i flop che vuoi». È stato profetico… Come ha fatto a ritornare nella serie A degli attori? Con umiltà e concentrazione. Ho cominciato ad accettare piccoli ruoli pagati quasi niente, se pensavo che potessero farmi notare. In questo modo è arrivato Birdman di Iñárritu, una fortuna che in parte mi sono meritato. Birdman, Avvoltoio, Uomo pipistrello. Tanti personaggi che volano. Come mai? E pensare che io sono un cacciatore… Però a dirla tutta, amo più la pesca con la mosca. Per me è come meditare. Un’altra cosa che non si sa di lei? Michael Keaton è un nome d’arte. Su tutti i documenti mi chiamo Michael Douglas. Ma ce n’era già un altro prima di me… L’ha mai incontrato? Una volta che per sbaglio hanno mandato a me un suo assegno. È stato molto gentile e spiritoso. Ha detto che in realtà è lui che ha usurpato il mio nome. Suo padre Kirk lo ha cambiato da Danielovich a Douglas. Uno zoo. Lei, Antonina Żabińska (Jessica Chastain, foto sotto), ne è la Eva, come la chiama suo marito Jan (Daniel Brühl). Dopo, ogni cosa si reclina e si ribalta. Colà e in tutta la Polonia piombano i nazisti, la morte, il terrore. Ma spuntano pure il coraggio e l’eroismo solidale. La signora dello zoo di Varsavia, rinomato bestseller di Diane Ackerman (ed. Sperling & Kupfer), diventa film sfoderando nelle immagini le gesta di Antonina e Jan con la loro storia (vera) animata da intrepida umanità quando riescono a sottrarre all’invasore centinaia di ebrei, nascondendoli nei sotterranei della loro casa nello zoo dopo averli cavati dal Ghetto e salvati dalle deportazioni. Scenario simile, negl’intenti e in certe dinamiche, a quello stimolato da Oskar Schindler, che nel medesimo contesto geo-bellico è stato anche celebrato da Steven Spielberg ( Schindler’s
1993). Il film è girato con eleganza sobria, epicità a tratti commossa ed eccellenti attori. LA SIGNORA DELLO ZOO DI VARSAVIA Regia Uscita