L’ora della molestia
Il sospetto non è l’anticamera della verità, ammoniva Giovanni Falcone. Nel girone infernale di accuse a mezzo stampa che si tramutano in condanne preventive verso uomini forse porci forse orchi, si consuma l’ennesima partita della «battaglia dei sessi». Se l’omonimo film manda in scena il leggendario match del ‘73 tra la giovane campionessa di tennis Billie Jean King, paladina anti-sessista, e un attempato Bobby Riggs, stella del firmamento sportivo, nella crociata contemporanea tra maschi e femmine impazza la rincorsa alla denuncia postuma per avance, molestie e stupri, mischiati in un calderone diabolico.
Nell’orgia collettiva innescata da «testimonianze shock» e «confessioni hot», l’accertamento giudiziale fondato sul dibattimento in cui si forma la prova, con il suo corredo di orpelli formalistici, regole e garanzie per imputati e presunte vittime, è considerato una perdita di tempo, roba da legulei indifferenti alle sorti del genere femminile. Se osi sollevare un dubbio, se ti azzardi a mettere in questione il totem della femmina Grande Vittima e del maschio Grande Orco, se provi a ragionare sulla solidità di pubbliche denunce mosse a vent’anni di distanza, vieni accusato di intesa con il nemico. Tenti forse di difendere un tipo alla Harvey Weinstein? E che dire di Kevin Spacey? E delle nostre vergogne nazionali, dei Tornatore e dei Brizzi: non vorrai schierarti con loro? Ecco allora che, parafrasando Bertolt Brecht, non resta che sedersi dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti sono occupati.
Nello tsunami di dita puntate contro il maschio allupato non esistono né vincitori né vinti. Siamo tutti perdenti. Ne escono sconfitte le donne ritratte come eterne minorenni, bisognose di un guardiano maschile. Anche quando si accomodano sul «sofà del produttore», lo raggiungono nel loft che non somiglia a un teatro né a un’agenzia di casting professionale; anche quando si lasciano blandire, si cospargono le mani di unguento o accettano un massaggio in un gioco di ambiguità, preludio a un approccio erotico. Il fascino del potere e il suo abuso sono due facce della stessa medaglia, il sofà del produttore è come la scrivania del direttore e la poltrona del politico. Se non c’è violenza, due volontà si incontrano e si scontrano in un baratto dove ciascuno decide liberamente quanto concedere di sé all’altro.
Non sappiamo se sia bello o brutto, è il gioco della vita dal quale non è esente il gentil sesso: man mano che il potere assume tinte rosa, fanno capolino le Weinstein in gonnella. Quel regista era chiacchieratissimo, la sua esuberanza sessuale era arcinota ma nessuno fiatava. Per paradosso, ciò accade negli