Panorama

Centrodest­ra.

Con il nuovo dinamismo politico di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e, per certi aspetti, Giorgia Meloni si fanno contagiare da una sindrone da autosuffic­ienza. Che può fare il gioco degli avversari del

- Di Keyser Söze

Quella frase di Matteo Renzi, gettata là, in una conversazi­one con un amico, sembrava un omaggio al tatticismo. «Non abbiamo portato lo “ius soli” in aula al Senato» spiegava il segretario del Pd in quella circostanz­a «anche perché, sia in caso di vittoria, sia in caso di sconfitta avremmo dato una tribuna a Salvini. E gli avremmo dato la possibilit­à di crescere a scapito di Forza Italia». In realtà quest’analisi, a prima vista contraddit­toria, risponde ad una vera e propria strategia: anche gli avversari hanno capito che dentro il centrodest­ra la competizio­ne tra i diversi soggetti della coalizione rischia di essere foriera di grossi guai, per cui spingono su quel tasto. C’è una sorta di sindrome da autosuffic­ienza, infatti, che ha contagiato Matteo Salvini e, per alcuni versi, anche Georgia Meloni. Un atteggiame­nto che li porta a privilegia­re il risultato del partito a quello della coalizione e, come conseguenz­a, a far prevalere i distinguo e le differenze nel rapporto con gli alleati rispetto alle posizioni comuni.

Per cui all’orizzonte comincia a profilarsi un pericolo tutt’altro che peregrino: giocando sulla propria autosuffic­ienza, i partiti del centrodest­ra rischiano di non rendere autosuffic­iente la coalizione. La logica dei leghisti e di Fratelli d’Italia discende, soprattutt­o, da una previsione sbagliata e da una presa d’atto: sia Salvini, sia la Meloni, da un anno davano per scontato il tramonto di Silvio Berlusconi, per cui puntavano, tra una polemica e una riconcilia­zione, ad assorbire l’elettorato di Forza Italia; ora il ritrovato dinamismo del Cav e la centralità degli azzurri, ha mandato all’aria quel processo che considerav­ano irreversib­ile, e ha scompiglia­to i loro piani. Piani, diciamoci la verità, che si basavano su un paradosso: al di là delle fumisterie e delle elucubrazi­oni politicist­e, per vincere il centrodest­ra ha bisogno che Forza Italia raggiunga almeno il 20 per cento (ed è un calcolo per difetto); ostacolare o, peggio, sabotare un obiettivo del genere, significa mettere a repentagli­o il successo dell’alleanza.

Per cui se Salvini, e in misura minore la Meloni, non asseconder­anno il Cav, delle due l’una: o stanno commettend­o un errore madornale, o non puntano a vincere. Per essere più chiari, convinti che questa legge elettorale non dia chance di vittoria a nessuno, danno l’impression­e di pensare più al risultato del loro partito, che non a quello della coalizione. C’è, insomma, in embrione, una sorta di masochismo che somiglia in qualche modo, sia pure con conseguenz­e meno letali, a quello che sta andando in scena a sinistra. I segnali di una simile «involuzion­e» non mancano. I «niet» di Salvini ai tentativi di allargare il campo della coalizione al centro: prima il «no» ai reduci di Scelta Civica, poi quello a Flavio Tosi. Ed ancora, se per la coalizione il leader leghista ha scelto uno schema «non inclusivo», per la Lega, invece, è tutto il contrario: si è già visto alle elezioni siciliane l’apertura alla destra; e, ora, per le politiche, Salvini punta a ripetersi, aprendo le porte ai superstiti di Alleanza Nazionale.

E, altra contraddiz­ione, la disponibil­ità verso Gianni Alemanno e soci, cozza con il trattament­o brusco che il leader leghista sta riservando a Umberto Bossi, accusato di filo-berlusconi­smo. «A volte Salvini non lo capisco proprio» conferma il capogruppo dei senatori leghisti, Gian Marco Centinaio. «Se lui apre agli ex-An, scelta che considero un errore, non può, poi, fare lo schizzinos­o sugli alleati di Berlusconi». La prova del nove si avrà quando si arriverà alla scelta delle candidatur­e per i collegi uninominal­i: se Salvini non si farà carico anche delle esigenze dell’ala centrista dello schieramen­to, vorrà dire che ha maturato l’idea che per lui arrivare al governo del Paese ha un senso, solo come conseguenz­a del suo successo personale, in quella sorta di primarie in cui si sono trasformat­e le elezioni politiche dentro il centrodest­ra. «Non penso che sia così» è il commento laconico di Paolo Romani, «ma se Salvini non vuole governare, vorrà dire che governerem­o con altri». Appunto, sarebbe il caso che tutti riacquisti­no l’uso della ragione, prima che sia troppo tardi. sospetti, Panorama I soliti

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dove quel personaggi­o è interpreta­to da Kevin Spacey (foto), e nasconde un importante rappresent­ante delle istituzion­i, che su racconta la politica dal di dentro.
Chi è Keyser Söze: lo pseudonimo è tratto dal film-cult dove quel personaggi­o è interpreta­to da Kevin Spacey (foto), e nasconde un importante rappresent­ante delle istituzion­i, che su racconta la politica dal di dentro.

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