CHIACCHIERE E PREGHIERE
dalle unghie smaltate di rosso e luccicanti scarpe con il tacco.
Ci dirigiamo verso la moschea di Imamzadeh Saleh zigzagando tra folle di uomini che fanno crocchio intorno ai cadaveri degli agnelli e dei vitelli sacrificati. Le magliette sgargianti di Ahmed e Rahim si stagliano nella massa scura di uomini e donne che vanno a pregare. Il sangue degli animali uccisi cola nell’asfalto davanti a quelli che aspettano di essere sgozzati. Nell’atrio della moschea una foresta di pugni alzati si agita ritmicamente alle note lamentose dei maddah. Sembra una danza macabra alla quale assistono gruppi di donne in chador distratte da bimbi che scorrazzano a destra e a manca. In alto, sulla facciata della moschea, una grande fotografia dell’ayatollah Ali Khamenei sembra scrutarci tutti.
Il calore e la generosità delle persone che incontriamo stridono con quell’atmosfera cupa. Faccio fatica a rifiutare il nazzri che ci viene offerto continuamente, un piccolo vassoio di carne e riso distribuito gratis a chiunque. Ahmed traduce dalla lingua farsi le domande che in molti mi rivolgono: i forestieri sono rari da queste parti. Sconosciuti mi invitano a casa loro, perfino un bimbo che insiste: «Ho già detto alla mia mamma che verrai».
Quando facciamo per andarcene passiamo vicino ad alcune tombe appena fuori dalla moschea: «Guarda» dice Rahim «lì è seppellito Ahmadi Roshan, uno scienziato nucleare che è stato assassinato dai servizi segreti israeliani qui a Teheran». Poi Ahmed ci conduce in uno dei rari caffè ancora aperti in città: dopo la rivoluzione islamica del 1979 il governo ne ha chiusi molti, ritenendo immorale la commistione dei sessi. Per entrare bisogna scendere scale ripide fiancheggiate da pareti ornate da fotografie di atleti. Sembra più un ritrovo segreto per giovani che un caffè aperto a tutti. Mentre aspettiamo una birra senza alcol, Mahsa e Amira ci mostrano le foto scattate poco più a nord, sulle spiagge del Mar Caspio, quando erano in vacanza. Lì non portano l’hijab ma hanno abiti europei, come se il mare avesse regalato loro la libertà.
Mentre parliamo, Mahsa guarda il mio iPhone e dice: «Per comprarmi un telefono come il tuo dovrei aspettare almeno tre mesi, e lo pagherei il triplo ». Ufficialmente Apple ha rimosso dal mercato iraniano i suoi prodotti e la maggior parte degli iraniani che posseggono un cellulare usano il sistema operativo Android. Io le chiedo se viene spesso in quel locale e lei mi racconta che le piace venire ad ascoltare gruppi musicali underground. «La maggior parte delle volte ci troviamo tutti a casa di qualcuno perché ci sentiamo più sicuri».
Amira ride quando le chiedo se sia vero che le frustate sono una delle punizioni inflitte a chi trasgredisce alcune leggi: «Non ho mai sentito di persone che le hanno ricevute. Quello che è capitato a me è che un giorno la polizia mi ha portato in caserma. Eravamo in una tenda in campagna, tre maschi e tre femmine, ma non facevamo nulla di male: giocavamo a carte. Mio padre ha dovuto portarmi da mangiare ogni giorno e alla fine tutto si è chiuso con una bella ramanzina». Alla discussione intervengono tutti i presenti. Uno di loro, con un inglese stentato, mi dice chiaro e tondo di essere contro la pena di morte. Un altro si lamenta del fatto che al momento di iscriversi all’università ha dovuto compilare un questionario in cui veniva chiesto se fosse musulmano: «Io sono ateo ma non lo dico. I miei genitori non capirebbero».
Quando usciamo dal locale è molto tardi e le strade sono semideserte. Una Porsche nera fiammante sfreccia rombando. Mahsa la guarda e dice: «Sono i ragazzi ricchi di Teheran. Vanno verso Park-e Daneshjiu, dove si riuniscono i giovani». Nel 2012 metà dell’intera produzione delle auto Porsche di grossa cilindrata è stata venduta a clienti iraniani. «Vivono tutti nella parte nord della città» aggiunge Rahim «e sono i figli dei politici e dei funzionari corrotti». «A loro il denaro, ai poveri la religione» riflette amaro Ahmed.
Più in là, tre anziani siedono a chiacchierare dentro la bottega di un panettiere. Uno di loro mi porge un grosso pezzo di naan. Io lo prendo e faccio per pagare ma lui rifiuta e