L’Ilva finisce in tribunale
Non solo la Puglia, ma mezza Italia dice no ai grandi progetti. Anche ambientali.
Non c’è solo l’Ilva, che rischia di veder sfumare quasi 5 miliardi di investimento per via delle impugnative del presidente Michele Emiliano e del sindaco di Taranto. «Se abolissimo i Tar l’economia farebbe un balzo». A dirlo, con una battuta solo semiseria, fu Romano Prodi, allora premier. Due anni fa Confindustria calcolò che il contenzioso giudiziario e le impugnative sulle opere bloccate in ogni ambito - bonifiche, ristrutturazioni, opere energetiche e infrastrutturali - valevano almeno il 5 per cento del Pil. Ma la stima era sottostimata. Se dall’Ilva si ritira Arcelor Mittal, il danno si aggiunge a oltre 10 miliardi di valore perduto in termini di mancata produzione di acciaio ed export, e di minor introiti fiscali, per via dell’esproprio giudiziale senza indennizzo ormai avviato ben cinque anni fa. E nel frattempo abbiamo visto il ritiro dei cinesi dagli investimenti previsti nel porto di Taranto. Un colpo terribile per l’intera economia non regionale, ma nazionale.
I numeri delle opere «impugnate» sono aggiornati ogni anno. Al 2016, secondo il rapporto Nimby presentato a novembre, erano 359, di cui oltre 100 fermi tra Tar e Consiglio di Stato, e gli altri sulla buona strada per sfociarvi, vista la dura opposizione di comitati e politica locale nelle Conferenze dei servizi. Oltre il 90 per cento di questi blocchi riguardano opere ener- getiche e il ciclo dei rifiuti: 43 tra centrali elettriche soprattutto a biomasse ma anche 13 impianti eolici, il che fa capire che non stiamo parlando di impianti ad alte emissioni ma di fonti rinnovabili. Inutile dire che in Puglia rischiamo di perdere il gas dall’Azeirbagian per via della tenace opposizione al Tap; e poi 37 impianti di recupero rifiuti bloccati; 30 discariche; 20 impianti di compostaggio. Abbiamo allontanato la Shell da Priolo dopo averle fatto spendere 30 milioni, rinunciando a investimenti con Erg per mezzo miliardo.
Dopo aver perso British Gas che aveva speso già 250 milioni per il rigassificatore di Brindisi, rinunciando a 900 milioni di investimenti per 11 mila occupati. Decine e decine di ricorsi al Tar per le concessioni relative a esplorazioni petrolifere e di gas, dopo il blocco relativo al referendum trivelle sono finiti nel nulla davanti ai Tar, ma nel frattempo gli investitori avevano rinunciato.
Il presidente pugliese e il sindaco di Taranto sono solo il picco di un iceberg: quello di un Paese in cui la piramide di competenze concorrenti esprime il suo potere attraverso il veto e la moltiplicazione di oneri accessori. Per la gioia dei nostri concorrenti.