Trump, la riforma che piace ai ricchi
Con una maggioranza risicata, il Senato americano ha approvato una ramificata riforma fiscale. Se sarà confermata dalla Camera, avrà profondi effetti sul sistema sanitario, sull’educazione, sui contributi filantropici, sulla tassazione delle attività produttive e dei privati. La parte più importante del disegno di legge è quella che riduce le tasse per le aziende dal 35 al 20 per cento, senza però eliminare deduzioni e sgravi con cui le compagnie riduce- vano l’imponibile, cosa che rischia di rendere la riforma sbilanciata verso la classe più agiata. Politicamente si tratta di una vittoria per Donald Trump ( foto), che ha esultato per «il più grande taglio fiscale della storia». Anche il frastagliato partito repubblicano ha ritrovato per un momento l’unità perduta: «Il Paese è pronto a un boom economico che creerà più lavoro e opportunità», ha detto Mitch McConnell, capo dei senatori repubblicani.
gennaio 2018, frutto della fusione dei due dipartimenti di Ajaccio e Bastia. Obiettivo dei nazionalisti: ottenere una vera autonomia da qui a tre anni. Che significa, tra le altre cose, una fiscalità ad hoc, la lingua corsa ufficiale accanto al francese, uno statuto di residente (si potrà acquisire un bene immobiliare solo dopo cinque anni di residenza). Ma soprattuto un’amnistia politica per i prigionieri politici della lotta armata, in passato prerogativa degli indipendentisti.
trollati dagli houthi hanno subito dichiarato la «fine della crisi», innescata dalle milizie «che hanno tradito». Lo Yemen è spaccato in due, con il Nord in mano sciita sotto influenza iraniana e il Sud controllato da Mansour Hadi e i suoi alleati: Arabia Saudita ed Emirati. La coalizione sunnita guidata da Riad non è riuscita a piegare gli houthi ( foto) e riconquistare Sanaa, nonostante un durissimo assedio. Quanto agli houthi, ora si ritrovano indeboliti e senza più alleati interni.