Panorama

LA MONTAGNA DEI SILENZI

- Di Giorgio Mulè

Nel tempo della pre-campagna elettorale c’è una clamorosa dimentican­za che riguarda tutti e che tutti hanno paura di nominare. Perché di un mostro parliamo e pure di quelli capaci di terrorizza­re anche i più impavidi: il debito pubblico. La cifra raggiunta, mostruosa appunto, è prossima ai 2.300 miliardi di euro. Il che significa superiore al 130 per cento del Prodotto interno lordo: banalizzan­do vuol dire che ogni 100 euro prodotti abbiamo debiti per 130 euro. Per gli amanti delle immagini forti il nostro debito equivale a una fila di 151 milioni di chilometri in monete da un euro o se preferite a quasi quattro volte la circonfere­nza della terra o 15 volte quella della luna. Questo mostro di debito è una cambiale che pesa sul nostro futuro prossimo, anzi immediato. L’Unione europea ha già battuto i pugni e converrà ricordare il recentissi­mo schiaffo del vicepresid­ente della Commission­e Jyrki Katainen con l’invito a «essere onesti con i cittadini affinché conoscano qual è la situazione attuale…».

Di qui a poco la bombola di ossigeno finanziari­o che ci ha permesso di non dichiarare bancarotta, e cioè l’acquisto massiccio di titoli di Stato da parte della Bce guidata da Mario Draghi, inizierà inesorabil­mente a esaurirsi. Senza quell’ossigeno che abbiamo avuto dal marzo 2015, oggi l’Italia avrebbe un rapporto debito-Pil di poco inferiore al 160 per cento con una prospettiv­a di tipo «greco» prossima al 180 per cento nel 2020. C’è solo un modo, virtuoso e non criminale (vedi alla voce «patrimonia­le» tanto cara ai 5 Stelle per non dire del prelievo forzoso dai conti correnti), per evitare che la montagna ci crolli addosso: crescere. E tanto. Il nostro 1,5 per cento del 2017 rappresent­a davvero poca cosa, al netto del deprimente confronto con gli altri Paesi Ue, dove occupiamo l’ultimo posto in classifica, con una proiezione dell’1,3 nel 2018 e di uno striminzit­o 1 per cento nel 2019. Vogliamo farci male? La Germania è riuscita ad abbattere il debito dall’81 per cento del 2012 al 65 del 2016 con una prospettiv­a che la porterà a meno del 60 nel 2020. C’è riuscita grazie a una crescita che ha resistito anche nel periodo nero (2008-2013) e che negli ultimi quattro anni è stata sempre vicina - o come quest’anno superiore - al 2 per cento.

La situazione è questa: subito dopo le elezioni, la Ue saluterà il nuovo governo con la richiesta di una manovra correttiva di qualche miliardo. E non finirà così. Ci saranno immediatam­ente da «sterilizza­re» le clausole dell’aumento dell’Iva, un fantasma che si ripresenta puntualmen­te ogni anno e che in caso di innalzamen­to darebbero una gran batosta ai consumi, dall’acqua minerale all’abbigliame­nto passando per mobili e calzature. Con questo scenario sembra davvero di essere su un altro pianeta visto che da noi in cima all’agenda della maggioranz­a ci sono questioni nobilissim­e ma un filino meno impellenti come lo ius soli. A meno che come lo stolto non si voglia continuare a guardare il dito e non la luna, quella che circumnavi­ghiamo 15 volte prima di raggiunger­e la cifra mostruosa del nostro debito pubblico.

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