Panorama

LO STIPENDIO PER UN CALCIATORE PUÒ ARRIVARE A DUEMILA EURO AL MESE E CI SI ALLENA LA SERA, DOPO UNA GIORNATA DI LAVORO

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dominato da un quadro con la scritta «Life is short, be brave». Una buona sintesi del coraggio che da queste parti devi avere per portare avanti almeno tre vite. Ogni giorno si mette in macchina un paio d’ore per andarsi ad allenare a Runavik. «A 21 anni debuttai in Nazionale contro l’Italia. Mi ricordo Giovinco, la “formica atomica”». Due passi per strada con Simun e la prima netta percezione è che nessuno qui lo tormenterà per chiedergli un autografo: ogni persona che incontra, a livello più o meno alto, fa (anche) il calciatore.

Si gioca a pallone intanto perché è una grande passione e in queste 18 isole dove a causa del vento non esistono alberi, solo prati verdissimi, gli spazi adatti non mancano. Ma si gioca anche e soprattutt­o per un discorso economico: lo stipendio per un calciatore va dai 400 a 2 mila euro al mese. Anche questo fa, in un paese dove mangiare al ristorante non costa meno di 50 euro. Ci si allena alla sera, perché di giorno si lavora.

Solvi Vatnhamar ha fatto carriera in campo e sul posto di lavoro dato che ora è capocantie­re. Ha 31 anni ed è il trequartis­ta della nazionale: «Da piccolo sognavo tutte le sere di sfondare all’estero. Avevo il mito di Steven Gerrard, degli stadi pieni» dice mentre detta la linea a un quartetto di operai che sta ristruttur­ando un centro sportivo dove si giocherà a pallamano. «La cosa più dura è quando vai in Portogallo o in Francia

A poche onde di distanza, al di là del canale, ci dà appuntamen­to Pall Klettskaro, il bomber della Nazionale, sul cantiere dove sta riparando un tetto volato via per il vento, l’estate scorsa. «Chissà se Totti saprebbe guidare una gru» scherza, mentre si toglie i guanti gialli. Pall ha 27 anni e gioca da quando ne aveva nove: «Giocare a Klaksvik nella squadra della mia città è un orgoglio, non una questione di soldi. È anche una comodità, rispetto ai miei compagni posso andare a piedi agli allenament­i». Pall ricorda l’esordio in Nazionale: «Giocavamo in Thailandia in amichevole. Poi la prima ufficiale, in Irlanda. Le vivo come fossero gite scolastich­e, il modo migliore, per molti anche l’unico, per allacciare i fili col mondo». La stagione, tutto sommato corta dato che si gioca da aprile a ottobre per non scherzare con le condizioni climatiche, non concede però sconti per vacanze comode. Perché, calendario alla mano, quando finisce il campionato oltre al lavoro ci sono le qualificaz­ioni per Mondiali o Europei (cominceran­no a settembre prossimo) da giocare con la Nazionale. Dove a breve sarà convocato Jogvan Roi Davidsen, il terzino muratore. Musica blues sparata in modo inequivoca­bile dallo stereo appoggiato a un ponteggio: «Io di stare seduto in ufficio non sarei mai capace» confida mentre sbatte lo scarpone infangato.

Le Far Oer vantano anche un loro record: sono primi nella classifica del fanatismo calcistico di un popolo. Lo dicono le statistich­e: in un Paese di 50 mila abitanti, seguono le partite allo stadio in 5 mila. Oltre il 10 per cento. Davanti all’Islanda 4,22 per cento e Cipro 4,03. Delle grandi, l’Inghilterr­a è quinta con il 2,7. L’Italia solo diciassett­esima: 61 milioni di abitanti e 630 mila persone alle partite, media 1,04 per cento. Si può essere un arcipelago di 18 puntini sperduti nel mare del Nord ma avere comunque la febbre altissima per il pallone.

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Famiglie, anziani bambini e anche un cane sugli spalti dello stadio di Klaksivik.

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