Panorama

Erdogan si allarga in Medio Oriente

L’offensiva su Gerusalemm­e è l’occasione per rafforzare il progetto neo-ottomano del leader turco.

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Se c’è un vincitore nel caos scatenato dalla decisione di Donald Trump di riconoscer­e Gerusalemm­e capitale di Israele, è Recep Tayyip Erdogan. Di fronte alle timidezze dei Paesi arabi, il presidente turco ha subito indossato i panni di «difensore di Gerusalemm­e». E, come Solimano il Magnifico, ha tracciato la linea rossa: «La terza città santa dell’Islam non si tocca». Prima ha minacciato la «rottura delle relazioni diplomatic­he con Israele». Poi l’ha definito uno «Stato terrorista, che uccide bambini». E ha invitato a Istanbul, il 13 dicembre, i 57 Paesi dell’Organizzaz­ione della cooperazio­ne islamica. «Guideremo le forze musulmane in tutto il mondo» è il suo slogan, ma anche l’occasione per concretizz­are la sua politica «neo-ottomana». Trump, ha argomentat­o Erdogan in un crescendo di accuse, «farà saltare le fondamenta della pace», «ha ignorato la risoluzion­e Onu del 1980 sullo status della città», «lede il suo carattere multi-culturale» (aspetto sottolinea­to per allargare anche le sue alleanze con le potenze cristiane). Erdogan ha chiamato papa Francesco e il presidente russo Vladimir Putin, che ha incontrato l’11 ad Ankara, kara, ribadendo che «i confini stabiliti dagli accordi del 1967 sono gli unici capaci paci di garantire stabilità». Il Sultano è così di nuovo vicino alle posizioni dello Zar. Ma Aaron Stein, analista dell’Atlantic ntic Council, puntualizz­a a Panorama come ome sia difficile che riesca a ribaltare il sisteistem­a di alleanze in Medio Oriente, perché rché «il limite più grande per la maggior parte delle nazioni arabe è che gli Usa sono no il loro principale alleato».

Per l’uomo forte di Ankara l’offensiva su Gerusalemm­e è l’occasione ione per inserirsi nelle manovre in corso o in Medio Oriente. Il vertice di Soci del el 22 novembre ha segnato una svolta. Er- Un’immagine che passerà serà alla storia: la stretta etta di mano fra Putin, Erdogan gan e Rohani durante e un meeting sulla Siria a Sochi ochi lo scorso 22 novembre. bre. dogan è stato l’ospite a sorpresa, visto che la Turchia appartiene alla Nato. In quell’occasione Erdogan, Putin e il presidente iraniano Hassan Rohani hanno mostrato che, uniti, possono decidere anche contro la volontà Usa, imponendo di fatto in Siria un dopoguerra basato sui loro interessi. «L’alleanza con Mosca è strategica» conferma Stein. «E sarà durevole. Ankara la considera necessaria per difendere il suo territorio dalle rivendicaz­ioni curde. Ma la visione di Erdogan è pure frutto del suo nazionalis­mo paranoico».

Già, perché Erdogan continua a premere sul nazionalis­mo. Non vuole solo ritagliars­i un’area d’influenza in Siria, fermare le velleità indipenden­tiste dei curdi dello Ypg (alleati degli Usa) e prendersi il cantone di Afrin. Ha pure detto che il Trattato di pace di Losanna del 1923 ha bisogno di «aggiorname­nti». Nel suo sogno Mosul, Sulaymaniy­a e Kirkuk dovrebbero tornare a far parte della Turchia, come aveva chiesto Mustafa Kemal Ataturk nel 1920. Il progetto neo-ottomano del Sultano prosegue inarrestab­ile. (Chiara Clausi - da Beirut)

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