Calabria, giustizia sommaria sui sindaci
Nella regione, lo scioglimento dei Consigli comunali da strumento eccezionale è diventato ordinario. E non appena un gruppo consistente di primi cittadini ha chiesto un incontro urgente al ministro dell’Interno Marco Minniti per discutere della questione,
NL’ANALISI el film Il Marchese del Grillo c’è don Bastiano, guercio e brigante, già prete, che di fronte alla ghigliottina rimprovera gli spettatori: «Voi massa di pecoroni invigliacchiti, pronti a chinare la testa davanti ai potenti!». Beh, Goffredo Buccini ci starebbe a pieno titolo tra quel popolo morboso, lì per godersi lo spettacolo della morte, stando al suo articolo sul Corriere della sera «I 51 Comuni sciolti per mafia che si ribellano ai commissari».
Lui un mezzo inchino ai potenti e a certe loro teorie strampalate ce lo vedo a farlo, se si allinea così all’esercizio della giustizia, non alla Giustizia, facendosi Cassazione sui sindaci del Reggino che reclamano il diritto d’argomentare al ministro dell’Interno perplessità sulla legge per lo scioglimento dei Comuni. Ed è guercio più di don Bastiano, perché inquadra con l’occhio distorto di chi alimenta il pregiudizio. Certo, noi ci mettiamo di nostro. L’ultimo caso, i 48 arresti per mafia a Taurianova, tra cui un ex sindaco. Grande clamore mediatico. Giusto. Invece il silenzio, dopo il fragore in uscita, sulla sentenza d’estraneità alla ’ndrangheta dell’Hotel del Gianicolo a Roma, dell’Hotel Arcobaleno a Palmi e di altri beni valutati 150 milioni. Tocca così alla Calabria. Don Bastiano che ci rimette la capoccia la incarna: del resto, brigante è! Appena la Regione ha uno scatto d’orgoglio e contesta la democrazia ferita e i diritti lesionati, trova il boia che la inchioda sotto il peso della condanna a prescindere. Buccini dileggia che «i sindaci dei Comuni calabresi sciolti per mafia (o in odore di scioglimento) non si rivoltano contro la ’ndrangheta ma contro lo Stato». Allucinante. E falso. Restano loro l’avamposto dello Stato nel territorio e meritano solidarietà, non flagellazione. Né si tratta di sindaci sciolti per mafia o in odore di scioglimento. O deve passare l’assunto che, in quanto sindaci e calabresi, o di cozzo o di taglio, sono collusi?
E nei Comuni dove non si presentano le liste, non è spregio allo Stato, ma paura della mannaia che esso abbatte facile, salvo spesso ricredersi con le assoluzioni dopo aver comminato carcere. Sul sindaco di Platì, crocifisso perché parente dei Barbaro, oppongo Peppino Impastato e chiedo se occorra immolarsi eroi per avere rispetto, se è giusto che una parentela porti alla discriminazione. Sulla sua avversaria: vero, è figlia dell’ultimo sindaco «sciolto per mafia», ma perché tacere che fu assolto e rimborsato per ingiusta detenzione, assieme ad altri 117 (su 126)? Cosa poi importi se discenda o no da un brigante, peraltro resistente all’invasore.
Fandonie a gogò, quindi. Notizie con lo sterzo che soccorrono le farneticazioni ma non connotano giornalismo serio. Nel pezzo, anche le parole di Gianluca Callipo, presidente di Anci Calabria, riferite ai 51: «Sbatteranno contro un muro. L’Anci Calabria e la maggioranza dei suoi sindaci sono contro la ’ndrangheta». Tradotto, significa che i 51 sarebbero pro ’ndrangheta. E qui o smentisce o abbia il decoro di dimettersi.
È una storia triste, è il sibilo della verga sulla nuda Calabria, ormai nel mirino di una giustizia sommaria, quasi un’estensione della Legge Pica, non più sanguinaria ma che ugualmente porta la morte, quella della democrazia, della Costituzione e dello Stato di diritto.