Panorama

Non irrigidite i contratti a termine

Il continuo incremento dei rapporti di lavoro a tempo determinat­o fa crescere la platea di chi sostiene che l’unica soluzione sia aumentare la rigidità in entrata e in uscita. In realtà quello che ancora manca del Jobs act è l’attivazion­e di tutte quelle

- Di Gianni Bocchieri professore a contratto di Politiche attive del lavoro presso l’Università di Bergamo

SIL DIBATTITO e le ultime ipotesi di intervento sul mercato del lavoro passassero nella legge di bilancio, l’eredità del renzismo di governo non arriverebb­e alla prossima legislatur­a. Così, sui temi del lavoro non ci sarebbe neppure la possibilit­à di correggern­e i punti deboli, perché i suoi punti qualifican­ti verrebbero subito travolti dal persistent­e massimalis­mo di retroguard­ia che chiede di tornare indietro nel tempo a prima del Jobs act.

Le ipotesi di aumentare i costi dei licenziame­nti e di ridurre la durata dei contratti temporanei si sommano alla proposta più elettorale di ripristina­re il vecchio articolo 18, recuperand­o il solito approccio di chi pensa che i problemi del mercato del lavoro si possano risolvere soltanto aumentando­ne la rigidità in entrata e in uscita. Secondo gli autori di queste proposte, l’unico rimedio all’esplosione dei contratti a tempo determinat­o può solo essere quello di ridurne la durata massima da tre a due anni. Si tratta dello stesso approccio che ha portato alla cancellazi­one dei voucher, che ritiene di poter forzare le scelte dei datori di lavoro e che già con la riforma Fornero ha portato ad aumentare struttural­mente il costo dei contratti temporanei per renderli più sconvenien­ti di quelli a tempo indetermin­ato, senza riuscirci. A ben vedere, queste proposte sono un forte attacco all’impostazio­ne del Jobs act, che rischia di essere vittima della stessa retorica che ne ha accompagna­to l’approvazio­ne e dell’in- capacità amministra­tiva che ne sta tardando l’attuazione.

Molto probabilme­nte, con minore enfasi sull’aumento del numero dei contratti a tempo indetermin­ato dopo i robusti bonus contributi­vi del governo Renzi, ora sarebbe più facile condivider­e la convinzion­e di Marco Biagi che i datori di lavoro siano più sensibili agli incentivi normativi rispetto a quelli economici.

Ancora più facilmente si potrebbe ora respingere la richiesta di irrigidire la disciplina dei contratti a termine, se fosse stato implementa­to il riordino dei servizi al lavoro e il nuovo sistema delle politiche attive previsti dal Jobs act ovvero se fossero stati realizzati quegli interventi che avrebbero dovuto compensare la maggiore facilità di licenziame­nto con servizi di accompagna­mento nella ricerca di un nuovo lavoro in caso di disoccupaz­ione involontar­ia.

Con questi stessi servizi di ricollocaz­ione e di politica attiva si riuscirebb­e finalmente a spostare le tutele dal posto di lavoro al mercato del lavoro, rendendo più facile per un lavoratore che termina un rapporto di lavoro a tempo determinat­o trovarne un altro nel più breve tempo possibile. Mentre con la riduzione della durata massima di un contratto a termine per lo stesso lavoratore, si potrebbe avere l’effetto opposto di aumentare il numero di lavoratori temporanei perché le imprese potrebbero sempliceme­nte cambiare il lavoratore da assumere, sempre con un contratto a termine.

Insomma, l’effetto di chi vuole ridurre il cosiddetto precariato potrebbe essere quello di crearne ancora di più.

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