Non irrigidite i contratti a termine
Il continuo incremento dei rapporti di lavoro a tempo determinato fa crescere la platea di chi sostiene che l’unica soluzione sia aumentare la rigidità in entrata e in uscita. In realtà quello che ancora manca del Jobs act è l’attivazione di tutte quelle
SIL DIBATTITO e le ultime ipotesi di intervento sul mercato del lavoro passassero nella legge di bilancio, l’eredità del renzismo di governo non arriverebbe alla prossima legislatura. Così, sui temi del lavoro non ci sarebbe neppure la possibilità di correggerne i punti deboli, perché i suoi punti qualificanti verrebbero subito travolti dal persistente massimalismo di retroguardia che chiede di tornare indietro nel tempo a prima del Jobs act.
Le ipotesi di aumentare i costi dei licenziamenti e di ridurre la durata dei contratti temporanei si sommano alla proposta più elettorale di ripristinare il vecchio articolo 18, recuperando il solito approccio di chi pensa che i problemi del mercato del lavoro si possano risolvere soltanto aumentandone la rigidità in entrata e in uscita. Secondo gli autori di queste proposte, l’unico rimedio all’esplosione dei contratti a tempo determinato può solo essere quello di ridurne la durata massima da tre a due anni. Si tratta dello stesso approccio che ha portato alla cancellazione dei voucher, che ritiene di poter forzare le scelte dei datori di lavoro e che già con la riforma Fornero ha portato ad aumentare strutturalmente il costo dei contratti temporanei per renderli più sconvenienti di quelli a tempo indeterminato, senza riuscirci. A ben vedere, queste proposte sono un forte attacco all’impostazione del Jobs act, che rischia di essere vittima della stessa retorica che ne ha accompagnato l’approvazione e dell’in- capacità amministrativa che ne sta tardando l’attuazione.
Molto probabilmente, con minore enfasi sull’aumento del numero dei contratti a tempo indeterminato dopo i robusti bonus contributivi del governo Renzi, ora sarebbe più facile condividere la convinzione di Marco Biagi che i datori di lavoro siano più sensibili agli incentivi normativi rispetto a quelli economici.
Ancora più facilmente si potrebbe ora respingere la richiesta di irrigidire la disciplina dei contratti a termine, se fosse stato implementato il riordino dei servizi al lavoro e il nuovo sistema delle politiche attive previsti dal Jobs act ovvero se fossero stati realizzati quegli interventi che avrebbero dovuto compensare la maggiore facilità di licenziamento con servizi di accompagnamento nella ricerca di un nuovo lavoro in caso di disoccupazione involontaria.
Con questi stessi servizi di ricollocazione e di politica attiva si riuscirebbe finalmente a spostare le tutele dal posto di lavoro al mercato del lavoro, rendendo più facile per un lavoratore che termina un rapporto di lavoro a tempo determinato trovarne un altro nel più breve tempo possibile. Mentre con la riduzione della durata massima di un contratto a termine per lo stesso lavoratore, si potrebbe avere l’effetto opposto di aumentare il numero di lavoratori temporanei perché le imprese potrebbero semplicemente cambiare il lavoratore da assumere, sempre con un contratto a termine.
Insomma, l’effetto di chi vuole ridurre il cosiddetto precariato potrebbe essere quello di crearne ancora di più.