Rottamato? Così Gentiloni scavalca Renzi (grazie a Mattarella)
Mentre Matteo è nel cono d’ombra, Paolo ha l’appoggio di ministri, Pd e anzitutto Quirinale. D’altronde ormai il premier non si nasconde (quasi) più...
La minoranza del Partito democratico la chiama «la rottamazione dolce». Ça va sans dire, a spingerla è Paolo Gentiloni, a rimanerne vittima Matteo Renzi. Perché sì, è proprio così: mentre il segretario ostenta sicurezza sul futuro (vedi elezioni del 4 marzo 2018), viene già reputato il capo del passato. L’ex premier è sempre più in crisi, fuori e dentro il Pd: pesano decine di promesse disattese e il pasticciaccio brutto di Banca Etruria. Il risultato sono i sondaggi, che parlano chiaro: è impossibile che «Matteo» torni a Palazzo Chigi, non in tempi brevi almeno, e nemmeno medi. La sua impopolarità avanza in favore di leader esterni al Partito democratico e pure di colui che doveva essere una marionetta nelle sue mani: «Paolo il grigio», diventato nel tempo «Paolo il caldo».
D’altronde, il fatto che Gentiloni stia rottamando Renzi è chiaro persino agli stessi (ex?) renziani. E lo è ancor di più dopo la conferenza stampa di fine anno, quando - pur non rinnegando Matteo - Paolo si è definitivamente smarcato da lui (da qui la definizione di «Rottamazione dolce»). Come? Anzitutto riabilitando Enrico Letta, un «evento» per quel fascio di nervi che è il Pd e che ha prodotto uno strappo politico-culturale impensabile fino a pochi mesi fa: su Letta, infatti, Renzi aveva fatto calare l’oblio pur di battezzare una irrealistica narrazione di rinascita dell’Italia iniziata con il suo arrivo a Palazzo Chigi.
Non solo. Gentiloni ha anche rivendicato i risultati del suo governo e bacchettato indirettamente Renzi per la commissione banche e la mozione contro il governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Quanto alla scissione bersaniandalemiana dal Partito democratico, si è spinto a dire: «Credo ci sia stato un processo di deterioramento dei rapporti e per quanto si dica che in politica contano solo i programmi e le idee, contano molto anche i rapporti tra le persone». Insomma, a parere del premier la separazione è dovuta soprattutto a motivi personali. E ne sono tutti colpevoli, gli scissionisti come Renzi.
Se Gentiloni ha potuto spingersi fino a questo punto è per due ragioni. La prima è perché governo e partito sono dalla sua parte, la seconda perché il capo dello Stato, Sergio Mattarella, è ben felice di trovarsi a capo del governo una «riserva della Repubblica», moderata e tranquillizzante. Altro che Renzi, insomma…
Capitolo governo: i ministri ormai sono quasi tutti indirizzati verso Gentiloni, e non soltanto gli storici antagonisti del segretario - cioè Anna Finocchiaro (Rapporti con il parlamento) e Andrea Orlando (Giustizia) - spingono in favore della leadership del presidente del Consiglio. Pure Dario Franceschini (Cultura) da tempo è entrato politica-
mente in collisione con la barca renziana. Mentre dopo la sua audizione in commissione banche, Pier Carlo Padoan (Economia) viene addirittura considerato un nemico da Renzi e dai renziani. Marco Minniti (Interno) e Roberta Pinotti (Difesa) lavorano con gioia e in piena sintonia con «Paolo». Giuliano Poletti (Lavoro), Marianna Madia (Pubblica amministrazione), Claudio De Vincenti (Sud) si sono evidentemente allontanati da Matteo. Graziano Delrio (Infrastrutture) e Valeria Fedeli (Istruzione) da fedelissimi risultano ora equidistanti tra premier e segretario. I «renziani di ferro», quindi, rappresentano ormai una ridotta: contano soltanto su Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Maurizio Martina.
Fin qui il governo. Il partito, invece, seppur surriscaldato, è semi-silente poiché al momento l’ex premier ha una grande arma nelle sue mani, ovvero il potere di firma sulle candidature alle Politiche. Ed ecco perché il malessere rimane sotterraneo: per ragioni di opportunità (o di opportunismo, fate voi) della varie e tante correnti che formano il Pd; senza l’assenso del segretario, molti dei loro componenti perderebbero la poltrona parlamentare. Ma subito dopo averla ottenuta (o, peggio ancora, perduta), quegli stessi deputati e senatori non esiteranno a cambiare cavallo, cioè leader. Magari pensando di ottenere pure la benedizione del Colle.
Certo è che Renzi è ormai ostile al Quirinale, al punto da produrre strappi istituzionali senza precedenti. Il 19 dicembre 2017 il segretario dem si è addirittura permesso di saltare gli auguri natalizi con il capo dello Stato. La ragione principale di tanta avversione? Secondo le voci di corridoio, sarebbe la mancata concessione a Renzi delle elezioni nel giugno 2017. Una scelta che Mattarella ha difeso e Gentiloni sostenuto («Sarebbe stato grave e devastante arrivare a interruzioni traumatiche della legislatura», ha detto).
Il rapporto eccellente che intercorre tra il presidente e il premier è un altro elemento fondamentale per spiegare la crisi di Renzi, che proprio a causa di Gentiloni ha perso centralità non soltanto tra gli elettori ma pure nelle istituzioni e nelle classi dirigenti. Matteo se ne è accorto al punto da voler utilizzare Paolo per la «sua» campagna elettorale. Ma Mattarella ha detto «no», considera Gentiloni una sorta di premier istituzionale. E Gentiloni è ben felice di esserlo: non vuole certo mettere la faccia sulla sconfitta degli altri. Anzi, di un altro…