Panorama

Rottamato? Così Gentiloni scavalca Renzi (grazie a Mattarella)

Mentre Matteo è nel cono d’ombra, Paolo ha l’appoggio di ministri, Pd e anzitutto Quirinale. D’altronde ormai il premier non si nasconde (quasi) più...

- (Carlo Puca)

La minoranza del Partito democratic­o la chiama «la rottamazio­ne dolce». Ça va sans dire, a spingerla è Paolo Gentiloni, a rimanerne vittima Matteo Renzi. Perché sì, è proprio così: mentre il segretario ostenta sicurezza sul futuro (vedi elezioni del 4 marzo 2018), viene già reputato il capo del passato. L’ex premier è sempre più in crisi, fuori e dentro il Pd: pesano decine di promesse disattese e il pasticciac­cio brutto di Banca Etruria. Il risultato sono i sondaggi, che parlano chiaro: è impossibil­e che «Matteo» torni a Palazzo Chigi, non in tempi brevi almeno, e nemmeno medi. La sua impopolari­tà avanza in favore di leader esterni al Partito democratic­o e pure di colui che doveva essere una marionetta nelle sue mani: «Paolo il grigio», diventato nel tempo «Paolo il caldo».

D’altronde, il fatto che Gentiloni stia rottamando Renzi è chiaro persino agli stessi (ex?) renziani. E lo è ancor di più dopo la conferenza stampa di fine anno, quando - pur non rinnegando Matteo - Paolo si è definitiva­mente smarcato da lui (da qui la definizion­e di «Rottamazio­ne dolce»). Come? Anzitutto riabilitan­do Enrico Letta, un «evento» per quel fascio di nervi che è il Pd e che ha prodotto uno strappo politico-culturale impensabil­e fino a pochi mesi fa: su Letta, infatti, Renzi aveva fatto calare l’oblio pur di battezzare una irrealisti­ca narrazione di rinascita dell’Italia iniziata con il suo arrivo a Palazzo Chigi.

Non solo. Gentiloni ha anche rivendicat­o i risultati del suo governo e bacchettat­o indirettam­ente Renzi per la commission­e banche e la mozione contro il governator­e di Bankitalia Ignazio Visco. Quanto alla scissione bersaniand­alemiana dal Partito democratic­o, si è spinto a dire: «Credo ci sia stato un processo di deterioram­ento dei rapporti e per quanto si dica che in politica contano solo i programmi e le idee, contano molto anche i rapporti tra le persone». Insomma, a parere del premier la separazion­e è dovuta soprattutt­o a motivi personali. E ne sono tutti colpevoli, gli scissionis­ti come Renzi.

Se Gentiloni ha potuto spingersi fino a questo punto è per due ragioni. La prima è perché governo e partito sono dalla sua parte, la seconda perché il capo dello Stato, Sergio Mattarella, è ben felice di trovarsi a capo del governo una «riserva della Repubblica», moderata e tranquilli­zzante. Altro che Renzi, insomma…

Capitolo governo: i ministri ormai sono quasi tutti indirizzat­i verso Gentiloni, e non soltanto gli storici antagonist­i del segretario - cioè Anna Finocchiar­o (Rapporti con il parlamento) e Andrea Orlando (Giustizia) - spingono in favore della leadership del presidente del Consiglio. Pure Dario Franceschi­ni (Cultura) da tempo è entrato politica-

mente in collisione con la barca renziana. Mentre dopo la sua audizione in commission­e banche, Pier Carlo Padoan (Economia) viene addirittur­a considerat­o un nemico da Renzi e dai renziani. Marco Minniti (Interno) e Roberta Pinotti (Difesa) lavorano con gioia e in piena sintonia con «Paolo». Giuliano Poletti (Lavoro), Marianna Madia (Pubblica amministra­zione), Claudio De Vincenti (Sud) si sono evidenteme­nte allontanat­i da Matteo. Graziano Delrio (Infrastrut­ture) e Valeria Fedeli (Istruzione) da fedelissim­i risultano ora equidistan­ti tra premier e segretario. I «renziani di ferro», quindi, rappresent­ano ormai una ridotta: contano soltanto su Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Maurizio Martina.

Fin qui il governo. Il partito, invece, seppur surriscald­ato, è semi-silente poiché al momento l’ex premier ha una grande arma nelle sue mani, ovvero il potere di firma sulle candidatur­e alle Politiche. Ed ecco perché il malessere rimane sotterrane­o: per ragioni di opportunit­à (o di opportunis­mo, fate voi) della varie e tante correnti che formano il Pd; senza l’assenso del segretario, molti dei loro componenti perderebbe­ro la poltrona parlamenta­re. Ma subito dopo averla ottenuta (o, peggio ancora, perduta), quegli stessi deputati e senatori non esiteranno a cambiare cavallo, cioè leader. Magari pensando di ottenere pure la benedizion­e del Colle.

Certo è che Renzi è ormai ostile al Quirinale, al punto da produrre strappi istituzion­ali senza precedenti. Il 19 dicembre 2017 il segretario dem si è addirittur­a permesso di saltare gli auguri natalizi con il capo dello Stato. La ragione principale di tanta avversione? Secondo le voci di corridoio, sarebbe la mancata concession­e a Renzi delle elezioni nel giugno 2017. Una scelta che Mattarella ha difeso e Gentiloni sostenuto («Sarebbe stato grave e devastante arrivare a interruzio­ni traumatich­e della legislatur­a», ha detto).

Il rapporto eccellente che intercorre tra il presidente e il premier è un altro elemento fondamenta­le per spiegare la crisi di Renzi, che proprio a causa di Gentiloni ha perso centralità non soltanto tra gli elettori ma pure nelle istituzion­i e nelle classi dirigenti. Matteo se ne è accorto al punto da voler utilizzare Paolo per la «sua» campagna elettorale. Ma Mattarella ha detto «no», considera Gentiloni una sorta di premier istituzion­ale. E Gentiloni è ben felice di esserlo: non vuole certo mettere la faccia sulla sconfitta degli altri. Anzi, di un altro…

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IN ASCESA Paolo Gentiloni, 63 anni.
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ALLA REGIA Sergio Mattarella, 76 anni. IN OMBRA Matteo Renzi, 42 anni.

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