Panorama

Iran, chi rischia di più è il presidente

A Washington c’è chi vuole la testa di Rohani per dimostrare che il regime non si può riformare. Mentre a Teheran qualcun altro la vuole per dimostrare che il regime non si deve riformare.

- Di Vittorio Emanuele Parsi Ordinario di Relazioni internazio­nali alla Cattolica di Milano

Potrebbe assumere i contorni imprevisti di uno scontro risolutivo quello che dalla scorsa settimana sta infiammand­o le strade delle principali città iraniane. Partito come un tentativo di distrarre l’opinione pubblica interna dalle operazioni truffaldin­e di finanziari­e vicine alla cricca dell’ex presidente ultraconse­rvatore Mahmud Ahmadineja­d (ancora potente), inizialmen­te non per caso è divampato nelle province dove maggiore è il sostegno per i conservato­ri. I suoi slogan contro il carovita, la disoccupaz­ione e la penuria di beni es- senziali erano evidenteme­nte rivolti al presidente in carica, il riformista Hassan Rohani, e al suo governo, in quanto responsabi­li della politica economica.

In breve tempo, però, a mano a mano che la protesta dilagava e si allargava a gruppi sociali diversi, anche i bersagli si sono moltiplica­ti fino a includere la corruzione (attribuita al regime in generale e al clero, con tutto il codazzo di accoliti e «famigli») e l’oppression­e sistematic­a e asfissiant­e di ogni forma di dissenso rispetto all’esibito rigore puritano della Repubblica islamica. Da ultimo, è finita nel mirino di una parte almeno dei manifestan­ti la «politica di potenza» dell’Iran, soprattutt­o il suo impegno in Siria

a sostegno del regime di Bashar al Assad (oltre che ai ribelli yemeniti, agli Hezbollah libanesi e a Hamas), quanto di più lontano ideologica­mente dalla ierocrazia di Teheran. È a questo punto che si sono evidenziat­e le mosse di una partita a scacchi tra le due anime della ormai quarantenn­e creatura di Ruhollah Khomeini. Mentre si aveva notizia dei primi morti (inizialmen­te «pochi», considerat­a la gravità e la virulenza delle proteste e la consueta brutalità e assenza di scrupoli delle forze di sicurezza), il presidente Rohani faceva una pubblica apertura a favore del «diritto a manifestar­e», sia pur in forme pacifiche. Un fatto clamoroso e inedito, giustifica­to dalla necessità di smarcarsi dalla scomoda posizione in cui era venuto a trovarsi.

In realtà, nelle 24 ore successive, la repression­e (controllat­a e organizzat­a dai suoi acerrimi rivali, i Pasdaran) subiva un’impennata, portando la conta delle vittime oltre la dozzina (ormai si viaggia sul centinaio), mentre la stessa tv di Stato dava notizia della violenza delle proteste e dell’elevato numero di morti.

La credibilit­à del presidente riformator­e ne è uscita pesantemen­te scossa, per non dire distrutta: un bugiardo o un incapace. Lo stesso Rohani, a seguito dei tweet del suo omologo Donald Trump, si trovava poi giocoforza costretto a denunciare l’infiltrazi­one di agenti provocator­i stranieri tra i dimostrant­i, assecondan­do la risibile idea di un complotto internazio­nale volto a privare l’Iran dei suoi successi in Medio Oriente. In realtà la sensazione è quella che, se complotto c’è stato, si è trattato di quello orchestrat­o dai seguaci di Ahmadineja­d nei confronti di Rohani e, probabilme­nte, in una prima fase assecondat­o dai Pasdaran, che però sono intervenut­i quando la situazione è sembrata scappare di mano. Del resto quando le proteste hanno iniziato a prendere di mira la politica di potenza dell’Iran (che di fatto è responsabi­lità loro e ne ha ulteriorme­nte accresciut­o il peso in questi anni) hanno capito che andavano bloccate a qualunque costo. Non a caso nel suo primo intervento dall’inizio delle proteste, la Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, ha detto che i nemici dell’Iran «hanno rafforzato l’alleanza per colpire le istituzion­i islamiche» del Paese.

Difficile prevedere cosa succederà ora. Anche se è improbabil­e che il regime possa crollare, la vastità della protesta ha colto tutti di sorpresa e denuncia un malessere che senza dubbio è frutto anche delle dure sanzioni internazio­nali (parzialmen­te alleggerit­e dopo l’accordo sul nucleare) e di quelle americane (che continuano). Ma dimostra anche la crescente insofferen­za popolare per un regime incapace di tenere fede alle sue promesse di eguaglianz­a sociale, corrotto e soffocante, che comunque manda a morte decine e decine di suoi cittadini per «crimini» politici, sessuali e religiosi.

Di sicuro i Pasdaran non molleranno la presa e non esiteranno neppure di fronte alle stragi, pur di difendere il regime e i propri interessi. Per poi regolare i conti interni in un secondo tempo. E il presidente appare il vaso di coccio tra i vasi di ferro: «spiazzato» sia rispetto agli ortodossi del regime sia rispetto ai liberal che lo avevano eletto per ben due volte con grandi speranze. Nel mirino anche di tutti quelli che, all’ombra delle sanzioni, si sono arricchiti per anni e che temono che la normalizza­zione internazio­nale minacci i loro profitti. La posizione di Rohani dunque vacilla. Oltretutto perché, tanto a Washington quanto a Teheran, c’è chi vuole veder rotolare la sua testa: per dimostrare che il regime non può o non deve autoriform­arsi.

 ??  ?? È diventata il simbolo delle proteste antigovern­ative la ragazza che il 27 dicembre è stata arrestata a Teheran dopo che si era tolta l’hijab, mostrandos­i a volto scoperto e con i capelli fluenti sulle spalle.
È diventata il simbolo delle proteste antigovern­ative la ragazza che il 27 dicembre è stata arrestata a Teheran dopo che si era tolta l’hijab, mostrandos­i a volto scoperto e con i capelli fluenti sulle spalle.
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Studenti iraniani durante uno scontro con la polizia antisommos­sa attorno alla università di Teheran il 30 dicembre scorso.
Studenti iraniani durante uno scontro con la polizia antisommos­sa attorno alla università di Teheran il 30 dicembre scorso.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy