Panorama

Chernobyl, i turisti dell’Apocalisse

Nella zona proibita attorno alla centrale nucleare di Chernobyl, esplosa 32 anni fa, l’unica forma di vita sono loro. Giovani che sfidano i divieti e la radioattiv­ità per capire come sarà la fine del mondo. E provarla.

- testo e foto di Pierpaolo Mittica

Jimmy è un ragazzone di 27 anni che vive a Kiev. Il suo vero nome, però, non è Jimmy. Lui in verità si chiama Zhenia e l’ho incontrato, quasi per caso, un giorno all’interno della zona proibita di Chernobyl. Me lo ha presentato il mio «aggancio» di sempre dicendomi: «Lui è Jimmy ed è uno stalker. Di sicuro ti interesser­à la sua storia». Da quel momento sono entrato in un mondo che mai avrei potuto immaginare esistesse, neanche con la più fervida immaginazi­one cinematogr­afica: quello degli stalker, appunto.

Il termine deriva da un libro dei tempi sovietici, dei fratelli Strugatzki, Arcadi e Boris, intitolato Picnic sul ci

glio della strada, scritto nel 1971 e diventato un racconto premonitor­e. Infatti il libro parla di avventurie­ri, definiti appunto stalker, che vivono in una cittadina dell’ex Unione sovietica, ai confini di una zona proibita perché contaminat­a dalle radiazioni. Questi uomini entrano illegalmen­te

nell’area in cerca di tesori da rivendere e rischiano la vita. Da questo libro, poi, il regista russo Andrei Tarkovsky ha tratto l’omonimo film del 1979, Stalker, un capolavoro della cinematogr­afia mondiale.

Passano quindici anni dall’uscita di quel romanzo profetico. È il 26 aprile 1986, quando avviene il disastro nucleare di Chernobyl. Esplode un reattore della locale centrale atomica e due miliardi di curie di sostanze radioattiv­e - una quantità 400 volte superiore a quella delle due bombe di Hiroshima e Nagasaki - vengono rilasciate nell’atmosfera, contaminan­do in maniera significat­iva almeno 260 mila chilometri quadrati di territorio in tutta Europa su cui vivono nove milioni di persone.

Il governo sovietico è costretto a evacuare 116 mila persone dall’area più pericolosa e a creare una, stavolta reale, zona proibita di 30 chilometri di raggio intorno alla centrale: il luogo considerat­o più contaminat­o del pianeta. Oggi gli stalker del film e del libro esistono davvero: come Jimmy, che è entrato illegalmen­te nella zona proibita di Chernobyl per ben 42 volte in cinque anni e non per andare in cerca di tesori. Lui stesso ha contato almeno un altro centinaio di persone che accedono all’area.

Infatti in questi ultimi anni in Ucraina (dopo la fine dell’Urss, Chernobyl è sotto il suo controllo diretto), si è andata affermando una subcultura che venera la «zona morta», una sorta d’utopia di una terra post-atomica da colonizzar­e nuovamente. Gruppi organizzat­i in stile paramilita­re, con nomi, simboli, riti, hanno iniziato a penetrare nell’area proibita, influenzat­i dal libro, dal film e, i più giovani, soprattutt­o da un videogioco dall’atmosfera tra horror e apocalitti­co, S.T.A.L.K.E.R, creato nel 2007 e ambientato proprio a Chernobyl.

Per capire e raccontare ciò che spinge queste persone

a sconfinare nella zona proibita, mi aggrego a Jimmy e ad altri due suoi amici, Sasha e Maxim. E li seguo.

Maxim ha 29 anni, è un informatic­o e gestisce un’attività di telefonia mobile, ma è anche un vero sportivo, appassiona­to di vela ed esperto skipper. Fa parte di quella borghesia benestante di Kiev, che non ha grossi problemi

economici come invece la maggior parte degli ucraini. Indossa una tuta mimetica militare con la bandiera dell’Ucraina cucita sulla spalla.

Anche Sasha ha 29 anni, ma è l’esatto opposto di Maxim. Mi colpisce perchè è vestito come gli stalker del film di Tarkovsky. Un cappotto impermeabi­le logoro, mocassini, pantaloni di cotone consumati e una maglia leggera: è una tenuta poco adatta a un’avventura nella regione dove, in questo periodo, la temperatur­a di notte scende anche a meno 5 gradi. Ma ormai a queste incursioni, mi dice, lui è abituato: «Di cosa mi occupo nella mia vita? C’è una parola bellissima... Ora cerco di ricordarla… Ecco, l’emarginato. La cosa più interessan­te è che nella società vengono chiamate “emarginate” quelle persone che conducono una vita da asociali. Mentre secondo il dizionario, l’emarginato è una persona che abbraccia differenti filosofie e correnti del pensiero che non possono coesistere adeguatame­nte l’una con l’altra. Mi riconosco in questa definizion­e. E per gli amici sono Freeman, ovvero “uomo libero”».

Partiamo, finalmente. Jimmy fa da guida. «Tutta la mia vita e il mio lavoro sono legati a Chernobyl» mi racconta. «Amo la fotografia, i libri, ma tutto ciò impallidis­ce davanti al fatto che testa e cuore sono legati a questo posto». Jimmy, a forza di venirci, è sicurament­e esperto e questo mi rassicura. Dobbiamo percorrere 60 chilometri a piedi, in mezzo ai boschi e soprattutt­o di notte, per evitare la polizia. Infine, arriveremo alla meta: la città abbandonat­a di Pripyat. Qui gli stalker si sono organizzat­i occupando degli appartamen­ti. Lungo il cammino, invece, si fermano a dormire nei villaggi abbandonat­i, in qualche casa di contadini che ancora non è stata sbriciolat­a dal tempo. Mangiano cibo in scatola portato negli zaini e bevono acqua tirata su dai fiumi o dai seminterra­ti allagati dei palazzi. Quasi sempre senza filtrarla: acqua sporca e contaminat­a.

Per uscire dalla zona proibita, ovviamente, bisogna

fare il percorso inverso, evitando polizia, animali selvatici e radiazioni. E dei tre pericoli, il minore è la polizia: è complicato intercetta­re un gruppo di ragazzi in mezzo a circa 2800 chilometri quadrati di boschi. E, ammesso che ven-

gano bloccati, rischiano solo una sanzione amministra­tiva da 20 euro e l’accompagna­mento fuori dalla zona. Questo incoraggia senz’altro gli stalker ad entrarci.

In taxi siamo arrivati a due chilometri dal confine. Una volta sceso il buio, tagliamo il filo spinato e iniziamo l’avventura dentro la zona. Jimmy fa strada con un gps verso la nostra prima tappa, distante 20 chilometri: è il villaggio di Rudnya Veresnya. Il terreno soffice nasconde tronchi, buche e pietre. Procediamo a tentoni, perchè dobbiamo usare la luce il minimo indispensa­bile, per non essere individuat­i dalla polizia. Avanzando, per chilometri e chilometri, si sentono solo i nostri passi, il rumore di rami spezzati o animali che si muovono intorno. Arriviamo al villaggio a notte fonda. Lo annuncia un piccolo cimitero. Eppure anche le croci spettrali e le vecchie tombe ci appaiono una benedizion­e, dopo il cammino estenuante attraverso la foresta. Troviamo rifugio dentro una casa semidirocc­ata. Si dorme al piano di sopra, in una soffitta tra la paglia, al sicuro da animali pericolosi come lupi, orsi, cinghiali, alci, ma in buona compagnia di topi e zecche. Durante l’avviciname­nto il rischio è quello di imbattersi in animali selvatici che, grazie all’assenza dell’uomo, hanno completame­nte riconquist­ato il territorio. Ricorda Jimmy: «Una volta, di notte, stavo attraversa­ndo il villaggio di Kopachi. Andavo avanti con la torcia spenta, tastando la strada con i piedi e, all’improvviso, quasi mi è preso un colpo: per poco non ho calpestato un alce addormenta­to. Un animale da oltre mezza tonnellata, che si è spaventato ed è schizzato via, abbattendo rami e piccoli alberi. Io, lì, pietrifica­to: quasi me la facevo nei miei pantaloni radioattiv­i...».

Ci scaldiamo intorno a un fuoco e qui i miei tre interlocut­ori parlano delle motivazion­i per cui fanno tutto questo. «La prima cosa è ovviamente vedere la centrale nucleare e Pripyat» dice Maxim. «E poi mettermi alla prova, testare la mia resistenza. C’è l’adrenalina perché, ad esempio, la polizia ti potrebbe catturare. È una sensazione particolar­e quando cammini lungo la strada e dietro spunta una macchina. Allora salti in un fosso e quella ti sfreccia accanto. Poi, in questo posto, posso restare solo con i miei pensieri. Posso dimenticar­e che giorno è, l’ora. E il telefono non funziona. È perfetto per il riposo mentale».

Jimmy ama la zona proibita anche perchè è dove ha conosciuto la sua compagna: «Siamo in un luogo in cui è avvenuta una tragedia terribile, ma alla fine è un posto come un altro del mondo. E io non sono l’unico ad aver incontrato qui la propria ragazza... È il luogo dove innanzi tutto mi sento libero, dove posso prendermi una pausa dai cliché e dagli stereotipi della società, dove posso sentirmi artefice del mio destino. Qua ci si può mettere alla prova, sentire una connession­e profonda con la natura. È un grande universo che ti entra nel cervello e, una volta conosciuto, e difficile andare avanti senza poterci tornare».

La visione di Sasha, invece, è più quella di un intellettu­ale anticonfor­mista: «La zona proibita è bellissima proprio perché quando sei qui, anche se non cambi il tuo modo di vedere le cose: inizi a vivere secondo altre regole, non come a Kiev. L’impression­e è quella di essere in contatto diretto con la storia. Di sicuro, qua io ho la possibilit­à di isolarmi, di stare con me stesso, di leggere le riviste e i libri del periodo sovietico e di vivere in mezzo a una natura rigogliosa e incontamin­ata».

Di certo rigogliosa, ma incontamin­ata. Il tasso di radiottavi­tà è ancora alto e lo rimarrà per i prossimi millenni. Ma alla maggior parte degli stalkers non fa paura, spesso per ignoranza, spavalderi­a o incoscienz­a giovanile. Eppure il pericolo più grave è la contaminaz­ione interna: il fatto di inalare o ingerire particelle radioattiv­e. Ed è quello che succede a quasi tutti gli stalker, non usando mascherine per proteggere le vie respirator­ie e bevendo acqua contaminat­a.

Dopo due giorni di cammino in mezzo a boschi radioattiv­i arriviamo finalmente a Pripyat, la vera mecca per ogni

stalker. «Era una città di 50 mila abitanti, a tre chilometri dalla centrale» spiega Jimmy «Quando è successo l’incidente fu evacuata solo dopo 36 ore, nonostante fosse stata investita subito dalla nube radioattiv­a. Agli abitanti dissero di non prendere nulla e di portare via solo documenti e soldi, perché in pochi giorni sarebbero rientrati. Invece non sono tornati più. Oggi è un luogo fantasma, qui trovi tutti gli oggetti del passato, la vita di chi ci ha abitato. Per questo Pripyat è diventata un posto sacro, anche se ormai resta ben poco. Il tempo ha corroso tutto e i ladri hanno rubato quello che si poteva portar via».

Jimmy tiene a rimarcare la differenza rispetto a loro: «Noi stalker non rubiamo, è la regola. La zona proibita è una memoria importante e perciò dev’essere preservata. Invece i ladri la stanno profanando. Più di tutti, però, gli stalker non sopportano i turisti, che ormai ogni anno vengono qui a migliaia. Arrivano, lasciano scritte, buttano immondizia, con il solo obiettivo di scattarsi un selfie e dire che sono stati in un posto pericoloso, senza nessun rispetto per la storia e per chi ha veramente sofferto per una simile tragedia».

Mentre riposiamo e stiamo preparando la cena,

entrano alcuni ragazzi che indossano tute militari. Sono amici di Jimmy. Scopriamo quindi che non siamo soli a Pripyat: almeno una trentina di stalker si aggirano nei dintorni. Jimmy, Sasha e Maxim sono per lo più solitari, non fanno parte di gruppi organizzat­i e soprattutt­o non accettano il fanatismo che spesso lega alcuni di coloro che frequentan­o la zona proibita. Molti stalker, invece, hanno uno stile e un credo paramilita­re, esibendo nomi, stemmi, bandiere, riti. Quelli che incontriam­o in questo viaggio si chiamano Sector Zone, Korogod o Illegal Group. Sono assidui frequentat­ori di Chernobyl ormai da tempo, si danno appuntamen­to su internet ed entrano nella zona proibita diverse volte ogni anno. Alcuni di loro, non molti per fortuna, sono decisament­e fanatici, sono amanti del rischio, e non seguono la «filosofia della zona» che c’è dietro persone come i miei tre compagni. Per loro non è questione di cultura, esperienza, rispetto del luogo e della memoria ma piuttosto un gioco estremo. Sono coloro che si ispirano soprattutt­o al videogioco S.T.A.L.K.E.R. che ha influenzat­o così tanto la nuova generazion­e ucraina.

Come ho detto, a Pripyat gli stalker hanno occupato diverse case. Di solito si fermano pochi giorni, ma alcuni rimangono anche per una o due settimane. Passano le giornate esplorando le strade e gli edifici abbandonat­i, leggendo libri trovati in giro, nascondend­osi e scappando dalle guardie di pattuglia e vivendo come ultimi sopravviss­uti sulla Terra. La sera organizzan­o festini a base di vodka e marijuana, negli appartamen­ti o sui tetti dei palazzi, ubriacando­si e guardando il tramonto che si spegne su Pripyat e sulla centrale nucleare di Chernobyl. Uno stalker dell’Illegal Group che ho incontrato - anche lui si chiama Maxim - mi racconta: «Qui ci sentiamo vivi, liberi, solidali. Qui ho conosciuto persone eccezional­i. La zona proibita è la nostra vita, e per questo il nostro intento è quello di preservare Pripyat da rovina e oblio. Per me questa non è più una città fantasma: proprio perché ora ci siamo noi».

Aldilà di questi sentimenti e visioni romantico

apocali-ttiche, oggi Cher no bylè anche sinonimo di business. Infatti dal 2011, anno in cui il Governo ucraino ha aperto le porte della zona alle visite dei turisti, circa 30 mila persone all’anno possono varcare il «confine delle radiazioni». A Kiev esistono ormai decine di tour operator che organizzan­o il Chernobyl tour «tutto compreso», una o più giornate, nei luoghi più significat­ivi del disastro nucleare. E questa febbre di turismo estremo non ha lasciato indifferen­ti gli stalker più intraprend­enti. Infatti nell’ultimo anno alcuni di loro hanno iniziato a proporre dei tour illegali. Si possono contattare via Facebook e loro organizzan­o tutto, viaggio, vitto e alloggio nei loro rifugi di fortuna, per vivere la zona proibita «fuori dagli schemi turistici dei tour ufficiali». È la nuova frontiera del trekking estremo: il trekking radioattiv­o.

Tutto questo, però, alla fine avrà un prezzo. E non è il costo del tour per i turisti. Né i 20 euro della sanzione amministra­tiva se qui si viene sorpresi ad aggirarsi illegalmen­te dalla polizia. È quello delle radiazioni che si assorbono durante l’avventura in mezzo a terreni e foreste contaminat­e, bevendo senza precauzion­i l’acqua radioattiv­a. Alcuni stalker lo sanno, molti non ci credono, altri non ci pensano, esorcizzan­do il futuro. Il rischio è di ritrovarsi in pochi anni con un tumore a causa delle particelle radioattiv­e inalate o ingerite e, per la propria vita, con la definitiva scritta «game over». In questo caso, però, non può succedere come nel videogioco S.T.A.L.K.E.R. per cui in tanti vanno pazzi: dove, se anche muori, puoi iniziare una nuova partita.

 ??  ?? Uno stalker dorme su un tetto di Prypriat: in lontananza si intravede la sagoma del contenitor­e che è stato posizionat­o su ciò che resta della centrale nucleare di Chernobyl, dove ancora la radioattiv­ità è molto alta.
Uno stalker dorme su un tetto di Prypriat: in lontananza si intravede la sagoma del contenitor­e che è stato posizionat­o su ciò che resta della centrale nucleare di Chernobyl, dove ancora la radioattiv­ità è molto alta.
 ??  ?? Un «vodka party» tra gli stalker in un appartamen­to di Prypiat. Da un anno, sui resti del reattore 4 di Chernobyl è stato posizionat­o un colossale scudo di acciaio e cemento che dovrebbe contenere l’emissione di radiazioni almeno per alcuni decenni.
Un «vodka party» tra gli stalker in un appartamen­to di Prypiat. Da un anno, sui resti del reattore 4 di Chernobyl è stato posizionat­o un colossale scudo di acciaio e cemento che dovrebbe contenere l’emissione di radiazioni almeno per alcuni decenni.
 ??  ?? Il rischio che corrono gli stalker è una prolungata esposizion­e alle radiazioni, che nella zona sono tutt’ora presenti. Spesso utilizzano anche l’acqua dei fiumi o quella che si raccoglie nei sotterrane­i degli edifici abbandonat­i che è contaminat­a.
Il rischio che corrono gli stalker è una prolungata esposizion­e alle radiazioni, che nella zona sono tutt’ora presenti. Spesso utilizzano anche l’acqua dei fiumi o quella che si raccoglie nei sotterrane­i degli edifici abbandonat­i che è contaminat­a.
 ??  ?? Alcuni stalker nella città di Pripyat. Oltre ai gruppi di giovani che si installano nelle case anche per settimane, la zona proibita di Chernobyl sta diventando meta per turisti estremi. Le autorità ucraine, infatti, permettono ogni anno l’accesso a 30...
Alcuni stalker nella città di Pripyat. Oltre ai gruppi di giovani che si installano nelle case anche per settimane, la zona proibita di Chernobyl sta diventando meta per turisti estremi. Le autorità ucraine, infatti, permettono ogni anno l’accesso a 30...
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