Panorama

MA UN LEADER NON SI INVENTA

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Ricorderet­e senz’altro la storia del «quid», di quel tassello per nulla irrilevant­e che mancava ad Angelino Alfano per essere davvero un leader. Il tempo ha mostrato quanto fosse reale quel deficit struttural­e nel politico che per superbia e molta mediocrità si illuse di avere le carte in regola per guidare il fronte dei moderati. Sparito dall’orizzonte insieme con la sua creaturina parlamenta­re, poco ci manca e sentiremo presto qualcuno sorridere beffardo e affermare: «Alfano, chi?». Un destino che rischia di travolgere anche altri reduci di questa stagione di voltagabba­nismo che si propongono come leader in cerca di identità dopo essere faticosame­nte riusciti a trovare almeno un logo, vedi il caso di Beatrice Lorenzin. Il problema è tutto lì e risiede in una parola: leadership. Ne siamo a corto in Italia. Perché un leader non si improvvisa, non si inventa e non si costruisce in laboratori­o. Si è leader perché si è capaci di avere visione e indicare la strada, perché si ha la competenza per sorreggere gli argomenti, perché si ha il carisma per convincere gli elettori.

A cinquanta giorni dal voto si vedono distintame­nte tre

leader, due in corsa e uno nascosto. Non v’è dubbio che Silvio Berlusconi e Matteo Renzi lo siano per qualità e requisiti. Ognuno potrà poi obiettare all’uno o all’altro difetti e attitudini: è certo però che per Berlusconi parlano da soli in maniera incontesta­bile i traguardi raggiunti prima in campo imprendito­riale e successiva­mente in politica; nel caso di Renzi manca pressoché totalmente la trincea lavorativa mentre non gli si può disconosce­re l’arte nella gestione della politica. Il terzo leader che attualment­e gioca a nascondino è Beppe Grillo il quale, siccome stupido non è, ha lanciato in campo una pallina da flipper qual è Luigi Di Maio. Che, esattament­e come una pallina in un flipper, rimbalza impazzito da una parte all’altra nel tentativo di intercetta­re il favore popolare e accendere lo «special» del consenso elettorale. Da qui il profluvio di promesse fantasmago­riche, decine di miliardi di misure lanciate a capocchia fino a immaginare un taglio di 40 (quaranta!) punti percentual­i nel rapporto debito/Pil in due legislatur­e. Ambiscono a guidare il Paese anche Pietro Grasso e Matteo Salvini. Il primo ha esordito in modo certamente non brillante con lo scivolone sulle tasse universita­rie dopo aver macchiato di partigiane­ria la figura alta e nobile della presidenza del Senato, quanto a Salvini può solo migliorare. Magari potrebbe ispirarsi a Roberto Maroni...

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