Se la Puglia dice no si riparte da zero
Le condizioni poste da Regione e Comune di Taranto per l’acciaieria costerebbero ad Arcelor due miliardi di euro. Mentre la riapertura dell’inchiesta sul gasdotto rischia di annullare tutto il lavoro fatto finora.
ILVA IL BRACCIO DI FERRO CHE PUÒ FAR PERDERE TUTTI
Tanto temuto quanto provvidenziale. Rinviando al 6 marzo la decisione sulla competenza territoriale, il Tar di Lecce, chiamato a valutare il ricorso presentato dal Comune di Taranto e dalla Regione Puglia contro il piano ambientale per l’Ilva varato dal governo, sembra aver offerto l’appiglio per arrivare alle elezioni del 4 marzo in un clima di tregua, quantomeno apparente. Certo, il piano di Renzi, che ha cercato di imporre al sindaco Rinaldo Melucci (Pd) la candidatura a Taranto del viceministro Teresa Bellanova e ha più volte sollecitato un accordo per chiudere la vertenza Ilva, è naufragato perché la Bellanova non ha lesinato polemiche e asprezze verbali nei confronti di Melucci e del governatore Michele Emiliano e dunque il segretario del Pd ha dovuto incassare un secco no alla sua richiesta.
La bozza dell’accordo di programma proposto da Comune e Regione al governo e ad Am Investco, la società formata da Arcelor Mittal (85 per cento) e Gruppo Marcegaglia (15) scelta nel giugno scorso dal ministero dello Sviluppo economico per la cessione dell’Ilva, è composto da 21 articoli e contiene modifiche e integrazioni alla proposta di protocollo di intesa firmata dai ministri Carlo Calenda e Claudio De Vincenti e inviata alle parti il 4 gennaio scorso.
I due enti chiedono indennizzi per chi si ammala o muore di inquinamento, la costruzione di due linee a gas per la produzione di acciaio come punto di partenza di un più ampio processo di decarbonizzazione, partendo dall’altoforno 5, ora fermo ma capace di un potenziale di 5 milioni di tonnellate all’anno (ovvero la quantità prodotta nel 2017 dai tre altiforni, più piccoli, in esercizio), per il quale viene sollecitata la realizzazione di una o due linee di produzione a gas, con la tecnologia Dri (Direct reduced iron).
Secondo valutazioni tecniche, questi interventi costerebbero ad Am Investco circa due miliardi di euro mentre altri tre sarebbero a carico dello Stato per gli interventi di bonifica. Am Investco non commenta le proposte, che se accolte in toto cambierebbero in maniera sostanziale le condizioni di acquisto, e continua a trattare con i sindacati il cui assenso è essenziale per portare a termine l’acquisto. «A loro non conviene lasciare un affare del genere. E comunque ci potrebbero essere altri gruppi che si erano già fatti avanti, pronti ad accettare queste condizioni», ha dichiarato con sicurezza Emiliano al Fatto. Intanto Legambiente ha espresso il sostegno alla proposta di Comune e Regione e l’appoggio ai due enti per il ricorso al Tar è giunto anche da altre associazioni ambientaliste. A chiedere la chiusura dell’Ilva senza se e senza ma (e senza indicazioni sul futuro dei 17 mila occupati diretti e indiretti solo a Taranto) pare essere rimasto il solo Movimento 5 stelle che a Taranto ha tra i più ferventi sostenitori l’attore Michele Riondino (il giovane commissario Montalbano) che negli ultimi giorni ha utilizzato i social network per attaccare chi crede a una Ilva capace di coniugare salute e lavoro.