Panorama

Il mio corpo «stupido » che non impara mai

L’involucro esterno che mi ospita - dice Danilo che, affetto da tetrapares­i, vive da sempre sulla sedia a rotelle - è in balia degli eventi, non mi ubbidisce, non apprende dai suoi errori, è come un adolescent­e anarchico che fa di testa sua e non mi dà re

- di Danilo Ferrari giornalist­a e attore

ALA RIFLESSION­E guardarci sommariame­nte sembriamo tutti uguali. In generale abbiamo una testa, due gambe, due braccia, un busto che le tiene insieme. In generale. Ma se ci soffermiam­o a pensare a ciò che l’involucro contiene, siamo tutti diversi, tutti sconosciut­i gli uni agli altri. Ci lega il filo invisibile della curiosità di conoscere in che cosa siamo diversi, in che cosa siamo migliori o peggiori degli altri.

C’è chi vive una condizione di eterna superiorit­à, chi una di eterna inferiorit­à. Molto più raramente si trova chi pensa di essere uno fra tanti, e per questo lo proclamiam­o Santo. Dalla mia posizione «privilegia­ta», sono spettatore di questa umanità, e ho maturato una convinzion­e, una certezza: quello che vedo io gli altri non lo vedono. Perché? Penso che la vista sia influenzat­a fortemente dalla condizione in cui mi trovo. Anche la mia pelle guarda, ascolta, grida, forse perché il mio corpo è «stupido», assolutame­nte in balia degli eventi. In realtà lui una logica ce l’ha, quella dell’istinto di conservazi­one, ma lo scopo della mente è quello di dominarlo. Ma io cosa vuoi che domini, se non posso grattarmi neanche il naso!

Mi ricordo che quando andavo a scuola, ogni volta che l’insegnante sbatteva forte la mano sulla cattedra, saltavo in aria. Le orecchie ne amplificav­ano il suono. Il fastidio non si limitava all’udito, ma si ripercuote­va su tutta la superficie corporea, come se le mie orecchie fossero sparse un po’ dappertutt­o; e una sensazione analoga, sgradevole, l’avevo con il suono dei tamburi e dei fuochi d’artificio.

Questa reazione era e continua a essere la stessa, non mi ci abituo mai, ogni volta è come la prima, all’infinito. Il mio corpo è intolleran­te al rumore repentino, reagisce rimanendo per un attimo sospeso in aria, ricadendo poi pesantemen­te sulla sedia, lasciandom­i solo, in balia di me stesso.

Il mio corpo non si è evoluto, mio mal

grado, non ha imparato dai suoi errori, è come un figlio adolescent­e nei confronti dei genitori, sempliceme­nte non considera quello che il mio cervello gli intima di fare! Prima o poi accetterò di essere un uomo in balia di un ragazzino! Il mio corpo è ingombrant­e, poco voluminoso ma invadente, suo malgrado. Impegna buona parte del tempo a convincere i muscoli a non fare di testa loro, ma ogni sforzo è vano. Solo quando mi lascia libero di pensare, solo allora provo cosa vuol dire essere veramente libero. E in quei momenti non accetto nessuna imposizion­e, neanche quelle più ragionevol­i. Con tali premesse sfido chiunque a darmi torto!

Al minimo rumore tutto il mio essere sobbalza, come avessi orecchie dappertutt­o

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