A Macron serve l’Italia per rifare l’Europa
Dalla Cina all’Africa, il presidente francese detta una linea forte. Ma è attraverso il Trattato del Quirinale che imporrà il suo Paese al centro del Vecchio Continente. E noi dovremmo sfruttare quest’occasione.
Sulla scena mondiale è apparso dieci mesi fa un protagonista capace di fare concorrenza a Donald Trump nello sfoggio di iniziative e di immagini simboliche. Consapevole delle prerogative legate alla sua carica, Emmanuel Macron sceglie per la sua azione politica il terreno più congeniale, quello nel quale il suo Paese ha sempre svolto un ruolo primario: l’Europa. Approfitta dell’eclissi della Gran Bretagna per rilanciare una politica estera a 360°.
Sa che non è possibile governare, se non si affrontano, nel quadro dell’Unione europea, le sfide odierne: terrorismo, migrazioni, crescita economica, cambiamento climatico, rivoluzione informatica. Mentre i suoi partner fanno piccolo cabotaggio o si dibattono tra mille difficoltà interne, Macron vede lontano, sa di essere la figura più influente, impone a sé stesso una tabella di marcia dal ritmo frenetico, per creare le condizioni di un rafforzamento della centralità della Francia nel Vecchio Continente.
L’inizio del 2018 si rivelerà il momento chiave per un vero capolavoro diplomatico, realizzato con grande spregiudicatezza.
Macron si reca per tre giorni in Cina, primo capo di Stato europeo a visitare Xi Jinping dopo la sua incoronazione nell’ultimo Congresso. Si pone rispetto al leader del colosso cinese su un piede di parità. Lusinga il suo interlocutore, firma decine di accordi, gli parla dell’Ue, quasi ne fosse il presidente, e di come essa si rinnoverà sotto l’impulso rifondatore della Francia.
Sulla via del ritorno - in «un semplice scalo» come scrive la stampa francese - sosta a Roma per la riunione dei 7 Paesi del Mediterraneo. Detta le linee di una riforma del diritto di asilo, sottolinea l’urgenza di piani di sviluppo a favore dei Paesi africani, elenca le trasformazioni da introdurre nella zona euro, preannuncia consultazioni con i cittadini in vista delle elezioni del Parlamento europeo. Ma non prende impegni concreti per alleviare l’emergenza migranti.
Il fatto più significativo del suo soggiorno romano, però, è l’annuncio del Trattato del Quirinale: uno strumento politico nuovo, da firmare entro l’anno, per rilanciare la collaborazione con l’Italia. Per la messa a punto del testo, Macron suggerisce tre nomi, tutti di alto livello: lo storico Gilles Picout, specialista del Ri-
sorgimento italiano, Pascal Cagni, ex manager Apple, presidente dell’Agenzia Investimenti e promozione delle imprese francesi e Sylvie Goulard, con lunga esperienza del parlamento europeo.
Paolo Gentiloni, da parte sua, nomina Franco Bassanini, Paola Severino e Marco Piantini. Il gruppo di lavoro dovrà riordinare le collaborazioni in atto, delineare quelle nuove per l’industria, la formazione e la ricerca. Palazzo Chigi sottolinea che il Trattato guarderà al futuro, quale contributo creativo per l’Ue.
Non vi è dubbio che il Trattato del Quirinale potrebbe dare vita a un forte rapporto italo-francese, certo meno stringente di quello tra Parigi e Berlino, ma pur sempre efficace e con una propria specificità. Questo dipenderà da noi. Purtroppo, finora, sui cantieri navali il nostro governo ha abbassato la testa, sull’alta velocità Torino-Lione sembra aver dimenticato che non si tratta di un beau geste francese ma della tratta di un asse europeo, mentre la cooperazione marittima è tutta da inventare. Sarebbe bene per il futuro individuare campi di azione, dar vita a nuovi meccanismi di collaborazione, prevedere intese per la sicurezza delle frontiere, per la ricerca, tra le università. Ciò, cercando di mantenere un equilibrio tra quello che si ottiene - e non può trattarsi di complimenti o di belle parole - e ciò che si concede.
Il Trattato del Quirinale è un successo per Macron che si rafforza in vista dell’incontro
il 22 gennaio con Angela Merkel. Alla quale dirà, come a Roma, che il Trattato dell’Eliseo, da rifondare in occasione del suo 55° anniversario, «n’est pas exclusif». Parole sante, perché anche il Trattato del Quirinale, per quanto ci riguarda, non può essere «exclusif». E dovrebbe essere invece un’eccellente occasione per riprendere seriamente i rapporti con la Germania. Vi è una «estraniazione strisciante» tra i due Paesi, per riprendere il titolo di un libro uscito qualche anno fa in Italia e in Germania, e molti rimpiangono l’età dell’oro nei rapporti politici italotedeschi. Eppure non mancano punti fermi su cui appoggiarsi. Senza tornare indietro all’epoca molto speciale di Adenauer e De Gasperi, basta ricordare il piano Colombo-Genscher del 1981, per il rilancio dell’Europa; le intese Andreotti, Mitterrand e Kohl per la nascita della moneta unica nel 1990-1991; i numerosi incontri tra i presidenti Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini e Prodi negli anni 1992 - 1996, invitati per primi da Helmut Kohl pochi giorni dopo il loro insediamento a Palazzo Chigi.
La Farnesina è sempre stata molto attenta a salvaguardare i rapporti con i nostri principali alleati ed è perfettamente in grado di rilanciare più strette collaborazioni con la Germania. Ma lo farà con tanto maggiore successo, se la si libererà dell’attuale camicia di Nesso derivante dalla irrazionale soppressione delle importanti Direzioni Generali dell’Integrazione europea e delle Relazioni Culturali. Con Berlino gli accordi in campo scientifico, universitario e culturale hanno sempre occupato una posizione di rilievo.
Corre un nuovo fermento in Europa. È ora che il nostro Paese riprenda posizione nel plotone di testa per offrire ai nostri giovani, nonché agli imprenditori e ricercatori, nuovi orizzonti.