CHE COSA SUCCEDERÀ
IL PARERE DI KARIM MEZRAN Analista dell’Atlantico Council di Washington.
Le proteste non finiranno qui. Per placare le rivolte il presidente Beji Caid Essebsi ha garantito delle riforme per agevolare le classi più povere, e mitigare la disoccupazione. Ma è una quadratura del cerchio. Da un parte non deve deludere le richieste del Fmi, della Banca mondiale e dei creditori internazionali, dall’altra fare delle concessioni a una popolazione martoriata. Le proteste sono state in parte bloccate usando la forza. In Occidente è arrivata notizia delle rivolte, ma non con la loro reale brutalità. Ci sono stati violazioni dei diritti umani, arresti arbitrari, torture. La Tunisia è un paese terribilmente corrotto e le classi medie sono sempre più in crisi. La pressione popolare è destinata a restare forte, anche se non ci sarà una riedizione del 2011.
IL PARERE DI ALI ALFONEH Analista del Rafik Hariri Centre for the Middle East all’Atlantic Council di Washington.
Le rivolte del pane da sole non possono scuotere le fondamenta della Repubblica islamica. Ciò che il regime teme è quando, a tali rivendicazioni, si aggiunge la richiesta di libertà. Inizialmente i pasdaran hanno accolto con favore le proteste nella speranza che indebolissero l’amministrazione Rohuani, ma i manifestanti non hanno attaccato solo lui. Hanno intonato slogan contro l’establishment clericale. l’avventurismo militare dei Guardiani della rivoluzione. In passato, l’ran è riuscita a sopravvivere alle rivolte economiche e ha soppresso i movimenti spontanei che chiedevano libertà. Finché le due istanze restano distinte e l’opposizione al regime divisa, i pasdaran possono usare il malcontento per consolidare il loro controllo. Ma solo fino ad allora...
IL PARERE DI FEDERICO NIGLIA Docente di relazioni internazionali all’università Luiss.
La «tendenza all’autogolpe» è da sempre un tratto distintivo della storia polacca. Ora, il governo rimuove i due ministri più antiBruxelles per rilanciare i rapporti con l’Unione. Se non si può parlare di reale autogolpe, il modus operandi è però lo stesso: per evitare la sanzione prevista dall’art. 7 del trattato europeo la Polonia fa marcia indietro. Tutto bene, dunque? La vera domanda è se un cambio di poltrone sia sufficiente per comporre le divergenze tra la Ue e alcuni Paesi dell’Europa orientale (Polonia e Ungheria in testa), il cui nazionalismo suscita notevoli preoccupazioni nel Continente. Resta da chiedersi se l’Unione disponga di strumenti sanzionatori effettivi: sono passati più di 15 anni da quando esercitò pressioni sull’Austria per Jörg Haider.