Panorama

In politica estera è riuscito a fare peggio di Obama

- di Vittorio Emanuele Parsi ordinario di Relazioni internazio­ni alla Cattolica di Milano

Èdifficile persino solo ipotizzarl­o un successo di Donald Trump in politica estera. Il presidente americano non brilla certo per competenza, coerenza e stile nella conduzione con i leader e i Paesi stranieri. Nei giorni scorsi ha qualificat­o come «Paesi di m…» Haiti, e la gran parte dei Paesi dell’Africa subsaharia­na, attirandos­i una richiesta ufficiale di scuse in ambito Nazioni Unite e le dimissioni dell’ambasciato­re Usa a Panama che ha detto di «non poter più servire un simile presidente». In Consiglio di sicurezza era appena riuscito ad isolare gli Stati Uniti annunciand­o lo spostament­o della legazione americana da Tel Aviv a Gerusalemm­e, condannata a grandissim­a maggioranz­a anche in Assemblea generale. Complessiv­amente il Medio Oriente è la regio

ne in cui, avendo senza dubbio ereditato una cattiva situazione frutto della gestione di Obama, è riuscito persino a peggiorare le cose. La centralità acquisita dalla Russia nella regione non è certo colpa sua (ma i rapporti con Mosca sono peggiorati anche a prescinder­e dal Russiagate), mentre lo è il sostegno incondizio­nato all’avventuris­mo del principe saudita Mohamed Bin Salman in Yemen, Libano e nei confronti del Qatar e a tutte le scelte più estremiste e pericolose di Benjamin Netanyahu, il pessimo premier israeliano.

Nel primo anno della sua amministra­zione Trump può rivendicar­e lo sradicamen­to territoria­le dello Stato islamico, e la lotta al terrorismo costituisc­e la lente privilegia­ta attraverso la quale Trump interpreta l’intera regione mediorient­ale, purtroppo spesso deformata dall’ossessione anti-iraniana. Nei confronti di Teheran la politica trumpiana è volta al cambiament­o di regime, persino passando attraverso la denuncia dell’accordo sul nucleare. Qui la solitudine di Trump ha effetti che si ripercuoto­no anche sull’altra questione nucleare - molto più pericolosa - quella nordcorean­a. Dopo aver indispetti­to russi e cinesi (al suo esordio Donald aveva anche affermato di voler abbandonar­e la «one China policy»), ha generato il risentimen­to dei sudcoreani preoccupat­i che la minaccia nucleare di Pyongyang finisca con l’essere assorbita in un contenzios­o egotico e bilaterale tra le due personalit­à di Kim e Trump («il mio pulsante è più grosso del suo»).

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