Panorama

Meno galateo più sostanza: è questa la sua colpa?

- di Alessandro Turci editoriali­sta di Aspenia

Potremmo partire da una semplice constatazi­one: Donald Trump non mette il mondo a rischio, ha ereditato un mondo ad alto rischio. Un mondo anche molto parolaio. Onu in testa, coi suoi fallimenta­ri Millenium Goals, poi la Fao dalla doppia morale e l’Unesco che fa politica. Un mondo crudele, coi suoi 20 conflitti armati in corso, oltre ai tanti minori, e comunque tutti precedenti alla sua «minacciosa» presidenza.

Il fenomeno Trump nasce anche da simili criticità e frustrazio­ni, dal cuore di un’America meno facilona di come spesso la si descrive. Prima di puntare sull’ultimo della classe, Trump appunto, Uncle Sam ha offerto due mandati presidenzi­ali al primo della classe. Tuttavia, il consuntivo del «soft-power» obamiano è assai magro. La principale sfida, lo tsunami macro economico dovuto all’ascesa della Cina, al momento è persa. Da quando Pechino ha varato il micidiale mix composto da capitalism­o senza liberalism­o, gli equilibri geopolitic­i mondiali, è noto, sono saltati. Se l’inesorabil­e filosofia Amazon è la risposta commercial­e americana all’audacia cinese in campo economico, Trump rappresent­a la risposta politica. D’altronde, l’opzione elegante che lo ha preceduto ha fallito perché ha promesso molto, su ogni fronte, e mantenuto poco. A partire dalla mancata chiusura della sporca prigione di Guantánamo.

Anche la tragedia siriana, vista in questa prospettiv­a, è una débâcle per Washington, perché il Califfato è sconfitto (almeno territoria­lmente) ma l’alloro della vittoria è finito sul capo di Vladimir Putin. Certo Trump è «bombastico» l’invitato a colazione che non coglie la sfumatura e si presenta all’ora del breakfast trovandoci in vestaglia. È quello che beve il vino dal bicchiere dell’acqua, la stessa con la quale dovrebbe spesso sciacquars­i la bocca; quello che parla a voce alta del suo «grosso bottone». È greve, ma alla fine salva il pranzo dalla fiera delle vanità diplomatic­he. A esser minacciate restano solo le sterili e perbeniste logiche della diplomazia internazio­nale: meno galateo, più sostanza. Nell’antidoto c’è sempre il veleno, non lo scopriamo oggi.

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