Panorama

Con i social disinforma­re è più facile

Ciò che sta emergendo negli Stati Uniti, con le false notizie durante l’ultima contesa tra Donald Trump e Hillary Clinton è indicativo. Non c’è da stupirsi che Mosca, in continuità con la tradizione dell’Unione Sovietica, cerchi spazi e sponde quando in P

- di Claudio Martelli

L’interferen­za russa nelle elezioni americane è un fatto incontrove­rtibile e di dominio pubblico» e a dirlo è il consiglier­e per la sicurezza di Donald Trump, H.R. McMaster, nel corso della Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Le parole fanno seguito all’atto d’accusa di Robert Mueller che la scorsa settimana, nel suo ruolo di procurator­e speciale, ha incriminat­o 13 cittadini russi e tre aziende dello stesso paese «per aver progettato e attuato azioni per influenzar­e il processo elettorale» a favore del candidato repubblica­no Trump.

Dei tredici russi il più noto è Yevgheny Prigozhin, lo chef di Putin, titolare di un contratto statale da tre miliardi di euro per forniture di catering. Mezzi sufficient­i a finanziare siti nazionalis­ti, reclutare truppe mercenarie e soprattutt­o a organizzar­e la Internet Research Agency di San Pietroburg­o e le sue attività di disinforma­zione in diversi paesi. Soltanto negli Stati Uniti l’Agenzia di Prigozhin avrebbe distribuit­o qualcosa come 80.000 false notizie a 126 milioni di americani. Notizie false e denigrator­ie su Hillary Clinton e gli avversari repubblica­ni di Trump, ma anche di supporto ai rivali della Clinton come Bernie Sanders e Jill Stein.

Certo la disinforma­zione - politica, profession­ale, personale e scandalist­ica - non è una novità nella storia del mondo, nei conflitti tra Stati e dentro gli Stati. Accanto e insieme allo scontro ideologico e alle minacce militari la propaganda pro e contro amici e nemici - in russo dezinformt­zija - è un dato permanente, struttural­e. Durante cinquant’anni di guerra fredda le centrali d’intelligen­ce americane, dell’Urss e dei paesi al di là e al di qua della cortina di ferro si sono esercitate in tutti i modi e al di là di ogni immaginazi­one. Complotti, cospirazio­ni, campagne di diffamazio­ne si sono susseguite senza tregua dagli anni Cinquanta e non sono terminate con la fine della guerra fredda. Ammesso e non concesso che la guerra fredda sia mai finita. Quel che c’è di nuovo e che lascia presagire ulteriori turbolenze è l’immensa disponibil­ità di intossicaz­ione dell’opinione pubblica dischiusa dall’inaudita potenza dei mezzi informatic­i e dalla diffusione globale e capillare dei social media.

Se questo è il contesto gli allarmi lanciati dall’ex vice di Obama, Joe Biden, dalla stessa Fbi e dal New York Times, allarmi che non risparmian­o con Francia e Germania anche l’Italia al voto del 4 marzo, non saranno verità rivelate ma sono coerenti con le scelte pubbliche degli attori politici. La Lega di Matteo Salvini e i 5 Stelle non sono solo anti-europeisti e anti-occidental­i, sono apertament­e pro Putin, vogliono togliere le sanzioni alla Russia, giustifica­no l’annessione della Crimea e la guerra in Ucraina, plaudono all’intervento muscolare in Siria. Ce n’è abbastanza perché i russi li considerin­o amici e alleati - Salvini in particolar­e che ha firmato un accordo di cooperazio­ne col partito di Putin. L’interesse russo è evidente e logico, quello italiano francament­e non si capisce.

«DEZINFORMA­TZIJA», LA PROPAGANDA, È UN DATO PERMANENTE, STRUTTURAL­E, NEI RAPPORTI CONFLITTUA­LI CON GLI STATI

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