Conte-Mourinho, rissa in campo
Si detestano e si insultano. Perché hanno vinto tutto e odiano perdere. Il 25 febbraio all’Old Trafford va di nuovo in scena lo scontro che accende il campionato inglese: Conte vs. Mourinho.
In campo di nuovo. E finalmente. A 24 metri di distanza, come i pistoleri di un duello. Passo dopo passo, uno di schiena all’altro. Chi sparerà per primo? Forse nessuno perché l’hanno già fatto. Josè Mourinho e Antonio Conte, in ordine di cavalleresca ospitalità: il luogo dell’incontro è la casa di Mou, ovvero l’Old Trafford. Domenica 25 febbraio: Manchester United contro Chelsea. Quindi, appunto Mourinho contro Conte. Protagonisti della lite calcistica dell’anno, forse del decennio, per gravità e grevità. È cominciata molto tempo fa, con un reciproco sospetto: due caratteri troppo complessi per potersi affrontare come due tennisti in tenuta bianca, due tipi verbalmente aggressivi, due allenatori che hanno fatto delle conferenze stampa il territorio della battuta feroce contro avversari e stampa. In campo, l’anno scorso si sono quasi scontrati fisicamente. Poi qualche settimana fa sono tornati sul terreno delle parole per vomitarsi addosso il fatto che il reciproco rispetto sia diventato reciproco sospetto. Mou: «Se non mi comporto come un clown in panchina, non vuol dire che abbia perso passione». Conte: «Forse parlava di quello che faceva lui in passato. Se uno dimentica quello che ha fatto, si chiama demenza senile». Mou: «Ho commesso errori in passato e di sicuro ne farò anche in futuro, ma so che non sarò mai squalificato per scommesse». Conte: «Chi offende in questo modo è un piccolo uomo». Mou: Chi era il capitano di quella Juve accusata di doparsi con l’Epo? Conte» ( accusa falsa:
l’Epo fu esclusa dalla Cassazione). Conte: «Ha detto cose gravi, non posso dimenticare». Mourinho da fondo campo: «Provo solo disprezzo». Conte: «Lo disprezzo anche io».
Vederli uno contro l’altro sul campo è una consolazione, non è solo una partita di calcio, ma almeno non è un botta e risposta continuo via social, giornali, tv. Sono due vincenti: hanno vinto entrambi ovunque siano andati. Però entrambi gestiscono male le sconfitte e non è un caso che la violenza verbale abbia avuto un picco nell’anno in cui entrambi sono stati messi calcisticamente in un angolo da Pep Guardiola.
Non è finita, comunque. Non finirà neanche stavolta. Fino a quando Mou e Conte troveranno un nemico comune. Ma non deve avere già vinto il campionato a Natale. Fino a quel giorno saranno ancora così, protagonisti anche oltre ciò che fanno in campo con le loro squadre. Perché vivono di calcio e di polemiche, come ad assecondare un bisogno continuo di sfida: il pallone non basta, serve il rivale da abbattere per sentirsi più vincenti di quanto già si è. Abbiamo vissuto altre grandi rivalità nello sport e nel calcio, ma mai avevano raggiunto il livello dello scontro che sono riusciti a raggiungere Mourinho e Conte. Resta una domanda, che funziona per entrambi: ne vale la pena? Essere considerato un attaccabrighe, un polemico, un arrogante porta qualcosa? Mourinho ha lasciato l’Italia da personaggio divisivo, proprio per questo. Conte a Torino, dove è stato amato come pochi, ha lasciato comunque qualche scoria con la Juventus (club). Vincere aiuta a essere forti, lo sanno entrambi. Ma sanno entrambi anche che purtroppo non si può vincere sempre. E allora, in quel momento, rischia di cambiare tutto. A cominciare dalla percezione che gli altri hanno di te.