Harakiri Ong
Dopo il caso Oxfam e l’autodenuncia di abusi sessuali anche in Medici senza Frontiere, una cosa è chiara: le grandi organizzazioni umanitarie sono spesso multinazionali partigiane fuori controllo, dove gli scandali vengono sottovalutati o insabbiati. E chi si è macchiato di cattiva condotta torna a lavorare impunemente.
Cibo in cambio di sesso, orge nelle ville affittate con i soldi dei donatori per le emergenze, ricatti e molestie fra il personale umanitario. Lo scandalo sessuale nel mondo delle Ong ha portato alla luce 154 casi, in gran parte nel 2017, sommando le ammissioni di Oxfam (che ora sta investigando su 26 nuovi episodi di abusi), Medici senza frontiere, Save the children, tre colossi umanitari e altre organizzazioni non governative minori. La punta di un iceberg se teniamo conto che la Commissione inglese di controllo delle Ong riceve un migliaio di denunce all’anno.
Numeri minimi rispetto all’esercito di umanitari impegnati
sul campo, che non cancellano il merito delle organizzazioni non governative, ma fanno suonare un campanello d’allarme. L’olandese Linda Polman, che da 25 anni denuncia le ombre delle Ong, non è stupita: «Si credono Madre Teresa, ma non lo sono». Secondo i suoi calcoli, l’industria globale degli aiuti fa girare 120 miliardi di euro l’anno. Per gli addetti ai lavori e gli umanitari sul campo interpellati da Panorama, le dimensioni raggiunte e la politicizzazione delle Ong sono un ulteriore motivo di preoccupazione. Oxfam, che ha dovuto ammettere la sottovalutazione, se non copertura, degli scandali, impiega solo in Gran Bretagna 5.300 persone e conta su 22 mila volontari. Nel 2017 ha raccolto 415 milioni di euro. Per Msf lavorano 40 mila operatori. Save the children, presente in 120 Paesi, nel 2016 ha raccolto 1,7 miliardi di euro.
«In Gran Bretagna lo 0,7 per cento del Pil è destinato alle associazioni caritatevoli. Diventare dei colossi aumenta le difficoltà di controllo per abusi e scandali» fa notare Alfredo Mantica, vicepresidente della Ong cattolica Avsi ed ex sottosegretario agli Esteri. Lo scandalo Oxfam, che ha scoperchiato il vaso di Pandora nel mondo delle Ong, riguarda la missione ad Haiti dopo il terremoto del 2010. «Queste storie erano conosciute già allora» rivela Mantica. «L’incomprensibile errore di Oxfam è non aver interrotto la catena bloccando le assunzioni del personale coinvolto in altre Ong». Il belga Roland van Hauwermeiren, pietra dello scandalo, era già stato allontanato dall’organizzazione umanitaria Merlin in Liberia prima di diventare capo missione Oxfam ad Haiti. E dopo essere stato licenziato «onorevolmente» dagli inglesi, si è fatto assumere dalla Ong francese Azione contro la fame, per una missione in Bangladesh. In pratica ha lavorato impunemente per 14 anni, nonostante gli scandali sessuali. Sui 7 dipendenti di Oxfam del caso Haiti allontanati, cinque hanno trovato un nuovo impiego in un’altra Ong. L’indiano Gurpreet Singh è stato licenziato da Oxfam di Londra e riassunto due mesi dopo dalla sede americana della stessa organizzazione per una missione in Etiopia.
Francesco Rocca, presidente della Cri italiana e della Fede
razione internazionale della Croce rossa, osserva che «serve un database, a protezione delle persone che assistiamo e delle stesse Ong, dove vengano registrati i casi di cattiva condotta evitando che i denunciati lavorino presso un’altra organizzazione umanitaria». La lista nera servirà a bloccare l’ambiguo sistema delle referenze. David Meltzer, capo del settore internazionale della Croce rossa americana, si è dimesso il 31 gennaio per le referenze a un funzionario allontanato per abusi sessuali a Save the children, dove era stato assunto. «Il problema non è solo la dimensione dei colossi degli aiuti, ma pure la proliferazione delle organizzazioni umanitarie. Il sistema è talmente ramificato che diventa impossibile da controllare» dice Riccardo Redaelli, docente di gestione delle emergenze e del dopoguerra all’università Cattolica di Milano.
Gli abusi sessuali sono solo uno dei problemi dell’intervento umanitario. In Somalia è saltato fuori che gli Al Shabab, costola di Al Qaida, taglieggiano le merci umanitarie acquistate dai locali con i soldi dell’Onu. Una sorta di pizzo che viene riscosso anche dai talebani in Afghanistan nei confronti di qualsiasi convoglio di aiuti. Per non parlare dell’utilizzo in Siria, da parte dei ribelli jihadisti, di ospedali, ambulanze e aiuti sanitari delle organizzazioni umanitarie. E spesso gli operatori fanno finta di non vedere.
«Le Ong sono diventate multinazionali fuori controllo che si ergono a paladini del mondo» denuncia un veterano italiano sul campo, che parla in cambio dell’anonimato. «Le costole italiane delle grandi Ong ( Oxfam, Msf, Save the children, ndr) sono politicizzate soprattutto sui migranti» continua la nostra fonte. «Gli umanitari che lavorano sul fronte degli sbarchi sono in gran parte di sinistra e vogliono abbattere le frontiere. Vedono discriminazione e razzismo dappertutto, anche dove non c’è, perché hanno paraocchi ideologici». Msf, la scorsa estate, si è rifiutata di firmare il codice di condotta del Viminale sui salvataggi dei migranti di fronte alla Libia. Mantica fa notare che grandi Ong, come Oxfam, «si presentano al forum economico di Davos salendo in cattedra per accusare mezzo mondo in nome della società civile. E pretendono di imporre una linea politica nel settore umanitario anche ai governi».