Valentine Colasante, vivo sulle punte e punto sul relax
La (fresca) nuova étoile dell’Opéra di Parigi ha genitori e cuore italiani. Ma da vera giramondo della danza, Valentine Colasante ha molti luoghi dell’anima. Da Roma in giù.
Ha cominciato a ballare a sei anni e a sognare l’Opéra a sette. «Per mesi chiesi a mia madre di portarmi a un balletto. Alla fine assistemmo a una rappresentazione del Don Chisciotte. E subito sognai di interpretare un giorno una di quelle donne dal carattere forte, mediterraneo». Lo scorso 5 gennaio Valentine Colasante era proprio Kitri, nel Don Chisciotte, con la stessa coreografia di Rudolf Nureyev che aveva visto da bambina. E alla fine dello spettacolo, a sorpresa, Aurélie Dupont, direttrice della compagnia all’Opéra di Parigi, è salita sul palcoscenico: ha annunciato al pubblico che lei, Valentine, era stata nominata étoile. Come ha reagito? Mi sono chiesta se fosse davvero realtà. E ho pianto. Proprio lei, che ha fama di avere una grinta incredibile, si è commossa? Sono una donna e una ballerina di temperamento, un’appassionata. Ma sono anche sensibile e voglio dimostrarlo. Nel balletto mi hanno associata spesso a ruoli con tanto carattere, ma adesso sto cominciando a interpretarne di più romantici. È nata a Parigi ma suo padre è romano (pianista di jazz) e sua mamma milanese (insegnante di danza). Cosa c’è d’italiano in lei? Se guardo ai miei amici francesi, mi rendo conto che nella mia famiglia siamo più uniti. So che posso contare davvero molto sui miei genitori, su mio fratello e su mia sorella. È una vera giramondo della danza. Città preferita? Roma, senza dubbio, anche rispetto a Parigi. Poi mi piacciono tanto anche New York, Tokyo e Sydney. Ma alla fine Roma resta la città del cuore. Perché? Mi ricorda mia nonna, che ora non c’è più: Luciana, un raggio di sole. Viveva dietro al Colosseo, dove
vado ancora spesso. Lì mi conoscono tutti, ho i miei luoghi rituali, pure la pizzeria al taglio.
Un luogo che consiglia a chi visita Roma?
Il buco della serratura sull’Aventino, da dove si vede il Cupolone.
E uno a Parigi?
Il quartiere dove abito, intorno a rue des Martyrs, e da lì su fino a Montmartre, perché a me piace la vecchia Parigi. A parte un’eccezione.
Quale?
La Philarmonie, opera di Jean Nouvel. Mi appassiona non tanto per l’architettura, quanto per l’atmosfera e per l’acustica, che è perfetta.
La sera quali altri luoghi frequenta?
La Closerie des Lilas, una brasserie dove ogni tanto si esibisce anche mio padre. E Il professore, ristorante italiano originale e sofisticato.
Una étoile può permettersi di essere golosa ?
Mangio poco, ma voglio mangiare bene. Sono anche una brava cuoca.
Cavalli di battaglia?
Cannelloni con ricotta e spinaci. E involtini di carne: rigorosamente con la salvia dentro.
Quale musica ascolta?
Classica: Chopin è il mio preferito. E tanto jazz. Sono una fan di Nina Simone. E negli ultimi tempi ascolto spesso Gregory Porter.
Il luogo sperduto dove si ricarica?
Una casa vicino a Perros-Guirrec, sulla costa di granito rosa della Bretagna. È così riposante: lì finalmente mi posso annoiare. E annoiarsi, per un’iperattiva come me, è molto salutare.
Nella danza quali sono i suoi coreografi preferiti?
Per il classico Nureyev, che è difficile, ma alla fine ti dà una sensazione di libertà. Poi, nel contemporaneo, Pina Bausch. Ho interpretato di recente Eletta, nella sua versione di La sagra della primavera. Emotivamente ha sbloccato tante cose in me. La Bausch ti mette a nudo, in senso proprio e figurato. Non pensavo di poterlo fare fino a quel punto. E invece ci sono riuscita.