La mostra fatta da chi la vedrà
Dedicata al Dna umano, dal 23 febbraio al Museo di Scienze di Trento, è stata ideata coinvolgendo gli stessi (futuri) visitatori. Ascoltandone domande, curiosità, dubbi e timori.
Alla fine, come la chiameremo questa mostra sul genoma umano? «Geni-ale?» Non è chiaro... «Questa mostra parla di te»? Troppo lungo. «Viaggio intorno al genoma»? Mah. «Tutti i geni del mondo»? Boh. D’accordo, il nome verrà fuori. Intanto, vediamo il perchè. Perché una mostra sul Dna? Che cosa far vedere al pubblico? Come coinvolgerlo senza annoiarlo? Come spiegargli che quella sulla genetica è la maggiore sfida tecnologica e scientifica che l’umanità sta affrontando?
Mica facile. Per centrare l’obiettivo, il Muse di Trento (il Museo delle Scienze progettato da Renzo Piano) ha ideato la mostra insieme agli stessi cittadini, a insegnanti e studenti, a giornalisti scientifici (e fra questi c’ero io). Tre focus group, dallo scorso ottobre, da cui sono saltate fuori curiosità, perplessità, dubbi: esiste il gene della lunga vita? I geni che ho ereditato mi faranno vivere a lungo? Se faccio il test e scopro che ho il gene del tumore al seno o, peggio ancora, dell’Alzheimer, che faccio? Si potrà scegliere «su catalogo» le caratteristiche di un futuro neonato, se sarà alto, intelligente e predisposto a suonare il violino? E poi, scusate, siamo sicuri che le «razze» non esistono?
Tanta roba, come si dice oggi, su cui mettere in piedi un evento lungo un anno, che parte dal passato, la scoperta della doppia elica nel 1953, e punta a un futuro così incredibile da far girare la testa: saremo in grado di manipolare geneticamente l’evoluzione umana, e non era mai successo prima.
E allora, come la chiamiamo? «Genoma umano. Quello che ci rende unici». Unici in che senso? Che i geni sono tutto? No, non lo sono affatto. Ma allora non è contradditorio? Ecco, è il bello di questa mostra: più domande che risposte. Perché così, e non viceversa, è la scienza. (Daniela Mattalia)