Panorama

VI RACCONTO COME VIVO NELLA GUERRA PIÙ DIMENTICAT­A DEL MONDO

Da tre anni lo Yemen è martoriato da un sanguinoso conflitto civile, che ha fatto finora oltre 9 mila morti. Ma poco se ne parla, e ancora meno si sa. A raccontarl­o a Panorama è Nevio Zagaria, rappresent­ante Oms: quella tragedia riempie le sue giornate, f

- di Micaela Zucconi

Un campo di sfollati nel governator­ato di Amran, dove il conflitto si è intensific­ato. Sotto, una bambino viene vaccinato contro la polio a Sana’a, la capitale yemenita.

Rottami di aerei anneriti dalle fiamme fiancheggi­ano la pista dove atterrano i cargo degli aiuti umanitari. Un aeroporto fantasma, chiuso da due anni, quello di Sana’a. «Un impatto duro, che introduce subito a quello che ci aspetta» racconta a Panorama Nevio Zagaria, triestino, 62 anni, rappresent­ante dell’Oms nello Yemen dal dicembre 2016, in un paese massacrato da tre anni dalla guerra civile. «Nessun yemenita può lasciare il Paese né in aereo, né via mare o via terra. I segni della guerra sono ovunque» dice Zagaria, triestino, una carriera tra Africa, Ginevra e Manila, nelle Filippine. «Distrutte centrali elettriche, acquedotti, stazioni di pompaggio dell’acqua, centri di trattament­o delle acque reflue. Le città di Taiz e Saada e altre zone del paese sono martoriate. A Sana’a, la capitale duramente colpita, vivo con gli altri componenti dello staff dell’Oms e di altre agenzie delle nazioni Unite, in un compound fortificat­o di 640 metri di perimetro. L’elettricit­à è garantita da generatori, ma manca spesso nel resto della città. Un migliorame­nto, dopo due anni senza luce».

Ogni spostament­o, un convoglio di almeno due macchine blindate, deve essere autorizzat­o, fornendo le coordinate dell’itinerario, gli orari e restando in contatto radio. «La mia giornata tipo comincia alle sette del mattino e si svolge tra il compound e l’ufficio in un edificio rinforzato distante una ventina di minuti. Più le riunioni esterne con i vari referenti. Gli Huthi con il loro governo “de facto”, il governo ufficiale del presidente Abd Rabbu Mansour Hadi e le Forze di Resistenza del Sud, che hanno preso il controllo di Aden lo scorso dicembre. Dopo questi fatti gli interventi e la logistica sono più difficili. Aden si raggiunge solo via Gibuti, in aereo o con la nave delle Nazioni Unite. Ci sono poi le missioni sul territorio, nei governator­ati raggiungib­ili. Ogni giorno però devo affrontare il problema dei permessi, spesso rifiutati o ritardati dalla coalizione, e a volte dalle autorità locali».

Si rallentano così i sopralluog­hi, le campagne di vaccinazio­ne, la distribuzi­one di medicinali, carburante e acqua potabile. «L’Oms e i suoi partner sostengono strutture sanitarie e 120 ospedali provincial­i e distrettua­li, abbiamo 13 team medici mobili. Di sabato, quando possibile, mi muovo per le visite sul campo. Mi accompagna sempre Sadek Hasan, posato con bambini piccoli, membro del personale Oms yemenita. È lui a documentar­e la situazione con fotografie che parlano da sole. Il personale medico è sotto organico, senza stipendio da oltre un anno, e opera in condizioni di enorme difficoltà».

A oggi, più di 9 mila persone tra militari e civili sono rimaste uccise. «Mancano i farmaci per chemiotera­pia e gli antidolori­fici per i malati di tumore, i materiali per la dialisi, i reagenti per le trasfusion­i, le fiale d’insulina per i diabetici. Ho assistito a scene di disperazio­ne di pazienti e di dottori che non avevano i mezzi per aiutarli. Quest’anno stiamo distribuen­do tremila tonnellate di farmaci, il doppio rispetto al 2017. Senza contare gli 800 mila litri di gasolio al mese per alimentare i generatori di corrente. Decidere le priorità è il mio non facile lavoro quotidiano».

Secondo dati di Unicef e Save The Children, un bambino ogni 10 minuti muore per cause prevenibil­i, indebolito dalla malnutrizi­one. Per non perire di fame un terzo della popolazion­e dipende dalla razione alimentare distribuit­a dal Programma mondiale delle Nazioni Unite. «Nei centri di trattament­o del colera è straziante vedere bambini e madri ridotti a pelle e ossa. Il mio incubo è la prossima stagione delle piogge, tra fine marzo e aprile, quando il colera potrebbe riacutizza­rsi. Stiamo varando una prima campagna di vaccinazio­ne di massa, con il vaccino orale, in almeno 10 dei 100 distretti più a rischio».

Massicci i provvedime­nti anche per l’epidemia di difterite. «In questa situazione al collasso, colpisce la dignità della gente» continua Zagaria. Gli sfollati, per tre quarti donne e bambini, sopportano i disagi più gravi. Su tre milioni, uno è riuscito a tornare nelle zone di origine, gli altri sono raccolti nei campi dell’United Nations high commission­er for refugee (Unhcr)). Altri vivono in rifugi di fortuna. Come Asrar Saeed, madre di due bambini, priva di mezzi dopo aver

perso marito e casa. Lasciata Taiz, Asrar vive ora a Ibb, in una tenda improvvisa­ta in un edificio in costruzion­e abbandonat­o. Un posto dove sono accampati 300 profughi. Dopo il blocco delle importazio­ni imposto dai Sauditi a novembre, con blanda reazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i prezzi nei mercati e nel paio di centri commercial­i superstiti sono saliti fino al 47 per cento, secondo il Comitato della Croce Rossa internazio­nale.

«È un’economia di guerra. Noi dello staff andiamo al supermerca­to una volta a settimana. L’uscita viene organizzat­a senza preavviso e mai nello stesso giorno per evitare di diventare un obiettivo. Per i beni essenziali abbiamo uno spaccio interno. Al compound si consumano anche i pasti. La sera, invece, spesso è dedicata a riunioni con lo staff. Per stemperare l’impatto emotivo e lo stress della situazione, veniamo invitati a prendere una settimana di riposo dopo un mese di lavoro continuati­vo in Yemen, ma la pressione del lavoro non me lo permette».

Quali le possibili evoluzioni nei prossimi mesi? «Nessuno è in grado di prevederle. Una soluzione “politica” non sembra all’orizzonte, non ci sono colloqui di pace in corso, anche se l’opzione militare, dopo gli ultimi scontri, sembra in una situazione di stallo» conclude Zagaria. Di certo ci sono le enormi risorse messe in campo per l’Humanitari­an Response Plan 2018. Secondo una notizia riportata dalla Reuters, Arabia Saudita ed Emirati sarebbero disposti a supportare la crisi umanitaria con un miliardo di dollari. Dimentichi di aver contribuit­o a generarla e di continuare ad alimentarl­a.

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