Panorama

Partita a due

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servirebbe un accordo tra due dei tre principali poli che dal 24 marzo disputeran­no la partita politica della XVIII legislatur­a. Il quarto, LeU di Pietro Grasso, è numericame­nte ininfluent­e.

Ecco, secondo fonti del Quirinale interpella­te da Panorama, un patto tra «diversi» risultereb­be assai gradito sul Colle. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ovviamente a cuore la stabilità politica del Paese, anche e soprattutt­o davanti all’Europa e ai mercati finanziari internazio­nali. Quindi, durante le consultazi­oni (formali e informali) con i leader dei partiti, il Presidente partirà da un assunto fondamenta­le: l’incarico da premier sarà affidato alla personalit­à che più avrà la possibilit­à di comporre una maggioranz­a parlamenta­re. E non sulla base dei puri risultati elettorali.

Certo, magari qualche protesta spunterà pure. Ma le valutazion­i di Mattarella

rispettano in pieno la Costituzio­ne. E risolvono da subito i dubbi, anche giornalist­ici, su chi debba ottenere l’incarico tra il leader della coalizione (Salvini) o del primo partito (Di Maio) usciti vincitori dalle urne. La gara tra loro è appena iniziata.

Nelle prossime settimane, «Matteo» e «Luigi» giocherann­o appunto una partita doppia, parallela e convergent­e. Parallela perché entrambi, l’un contro l’altro armato, puntano a guidare l’Italia da Palazzo Chigi; convergent­e poiché il primo intende arrivarci ingrandend­o la Lega, il secondo cannibaliz­zando il Partito democratic­o.

Su Salvini (vedi articolo a pagina 50)

basterà aggiungere che già ragiona su come recuperare terreno elettorale nel Sud Italia, laddove il centrodest­ra si è dimostrato meno pronto. Il leader leghista ha piena consapevol­ezza che in quella parte del Paese la sua coalizione è sembrata essere «vecchia». Il fidato Giancarlo Giorgetti sta già avviando uno scouting utile a reclutare facce meridional­i capaci di intercetta­re il «nuovo». A maggior ragione ora che il pregiudizi­o sulla Lega a trazione nordista pare essersi allentato.

Quanto a Di Maio, ha il problema opposto: deve riuscire a convincere anche l’elettorato settentrio­nale, che i 5 Stelle non conquistan­o. La strategia del leader pentastell­ato - condivisa con i vari Beppe Grillo, Davide Casaleggio e Alessandro Di Battista - dipende però (e anzitutto) dai suggerimen­ti della vera mente del suo successo elettorale. E cioè Vincenzo Spadafora, ex garante per l’infanzia, suo consiglier­e politico, neo deputato e «inventore» della vincente campagna elettorale dimaista.

Spadafora, a differenza della quasi totalità della classe dirigente del M5s, non è affatto a digiuno di politica. Ha lavorato dietro le quinte di noti leader del passato (Alfonso Pecoraro Scanio e Francesco Rutelli), conosce l’arte della seduzione elettorale, frequenta mondi fuori dai canoni abituali del movimento (Confindust­ria, per esempio). E pensa che a Luigi un passaggio da premier nell’immediato, non indispensa­bile nei piani di Salvini, servirebbe a tranquilli­zzare i settentrio­nali finora terrorizza­ti dall’avvento dei 5 Stelle. Una volta a Palazzo Chigi, infatti, Luigi potrebbe dimostrare di non essere un «Masaniello» pronto a finanziare il «reddito di cittadinan­za» per il Sud con risorse tolte al Settentrio­ne e anche aumentando le tasse.

Domanda: come fare per arrivare alla presidenza del Consiglio senza imbarcare i Denis Verdini di turno, ripetendo cioè lo stesso errore di Matteo Renzi, arrivato al potere con una congiura di Palazzo? La risposta sta nel Partito democratic­o. Di Maio vuole convincere un pezzo consistent­e dei Dem a sostenere un suo governo. Una missione impossibil­e? In teoria no. Tutti gli antirenzia­ni (a partire da Michele Emiliano e Andrea Orlando), molti ex renziani (da Dario Franceschi­ni a Graziano Delrio), e persino alcuni giovani dirigenti (come Claudia Bastianell­i) risultano affascinat­i dalla possibilit­à di un appoggio esterno a un governo garantito da Mattarella. E, per una volta, non per ragioni di poltrone, bensì dalla convinzion­e che con un ritorno rapido alle urne il Pd potrebbe sparire per sempre. Insomma, meglio fare da cane da guardia a un governo di altri che cancellare il Partito democratic­o. Nel frattempo, ci si potrebbe riorganizz­are, celebrare un congresso, individuar­e un nuovo leader al posto di Matteo Renzi. Magari quel Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo in scadenza di mandato, al quale nel partito cominciano a guardare come ancora di salvezza per il futuro e che, proprio dopo il voto ha preso la tessera.

Il problema è proprio lui, Renzi. Che, pur di non darla vinta ai suoi nemici

vecchi e nuovi, è pronto a uccidere un partito in coma. Il 4 marzo Matteo ha perso 5 milioni di voti in confronto alle Europee del 2014. E 2,6 milioni rispetto al 2013. L’allora segretario Pier Luigi Bersani si dimise, Matteo annuncia dimissioni farsa. Lo stile dell’uomo è tutto qui. Per intenderci meglio, è lo stesso uomo che tenta di rimettere la responsabi­lità della sconfitta sulle spalle di Paolo Gentiloni. O su Mattarella, colpevole (secondo Renzi) di non aver concesso le elezioni quando le voleva lui.

Al Quirinale non nascondono l’amarezza verso il segretario del Pd. Mattarella, che non vive sulla luna, sa benissimo che l’opposizion­e di Renzi rende strettissi­ma la via per le «larghe intese». E allora è persino naturale che sul Quirinale si valutino altre opzioni. La più caldeggiat­a indica la soluzione in un «esecutivo di scopo», anche di breve durata, che traghetti il Paese a nuove elezioni. Tale ipotetico governo dovrebbe poter trovare una larghissim­a maggioranz­a parlamenta­re, sulla base di un programma ridottissi­mo, con al primo punto una nuova legge elettorale che superi il Rosatellum, stabilisca un premio di maggioranz­a e preveda un vincitore certo delle votazioni.

Va da sé che a guidare un esecutivo siffatto potrebbe essere soltanto una personalit­à «terza», unificante ed esterna ai partiti, un ex presidente della Corte della Costituzio­nale o un’Autorità indipenden­te. Tra i (fu) massimi esponenti della Consulta, l’identikit conduce ai nomi di Franco Gallo, Alessandro Criscuolo, Giuseppe Tesauro. Mentre tra le Autorità circola il nome del garante dei detenuti Mauro Palma.

Ma c’è una figura che viene vista come riserva della Repubblica, ovvero quella di Raffaele Cantone, presidente dell’Anticorruz­ione. Un superprocu­ratore per un supergover­no?

Il Capo dello Stato sa che Renzi rende impraticab­ili molte soluzioni

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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, 76 anni. Il capo dello Stato darà inizio alle consultazi­oni dopo il 23 marzo, giorno d’insediamen­to delle nuove Camere.

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