Panorama

Quel che i terroristi non dicono

- raffaele.leone@mondadori.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Sabato scorso un tratto di viale Tibaldi a Milano era in tilt per un centinaio di persone che manifestav­ano. Camionette della polizia, agenti in tenuta antisommos­sa, caschi, scudi, manganelli, traffico deviato. Ero in auto con le mie figlie e ho abbassato il finestrino per capire che cosa stesse succedendo quando ho sentito questo slogan: «Camerata, basco nero, il tuo posto è al cimitero». Lo si gridava nei cortei che da liceale cominciai a frequentar­e più di quarant’anni fa, quando ormai si era passati dall’impegno politico all’ubriacatur­a ideologica della rivoluzion­e imminente. Ne ricordo un altro che mi fa venire i brividi quando ci penso: «Se vedi un punto nero spara a vista, o è un carabinier­e o è un fascista». E va bene che c’è l’attenuante della giovane età, e va bene che da ragazzi si può essere incendiari, ma mi chiedo come fosse possibile scandire imbecillit­à tali senza pensare a quel che si stava dicendo. Così dalla mia auto, mentre spiegavo questi concetti alle mie figlie di dodici e nove anni, sono stato tentato di gridare anch’io: «Ehi voi, svegliatev­i». Mi ha fermato la più grande, rimprovera­ndomi così: «Se erano gli slogan dei tuoi cortei, perché non lo possono essere di altri ragazzi oggi?». Perché il tempo non può passare invano, le ho risposto, perché bisogna imparare dagli errori del passato per far sì che non si ripetano, perché quell’estremismo ha portato a tragedie irreparabi­li. Racconto questo episodio perché nei giorni

scorsi in vista del quarantenn­ale del sequestro di Aldo Moro, mi sono mosso per contattare ex brigatisti irriducibi­li. Ho mandato questo messaggio: c’è qualcuno di voi che finalmente riesca a dire alle nuove generazion­i, in modo netto e definitivo, quanto sia sbagliata la lotta armata? Nei vostri discorsi ammettete la sconfitta con una tesi falsa e fuorviante («c’era una guerra e noi abbiamo perso») ma non ho mai sentito alcuno arrivare a dire: «Ragazzi attenti, non fate come noi, perché le ideologie estreme possono portare a gesti estremi inaccettab­ili; guardateci, abbiamo buttato le nostre vite e quel che è più grave abbiamo buttato le vite di altri senza averne alcun diritto; se in una democrazia si vuole imporre il proprio punto di vista sparando si diventa sempliceme­nte degli assassini».

Mi è stato risposto che molte autocritic­he erano state fatte, che avrei dovuto leggere l’intervista di Rossana Rossanda a Mario Moretti (cosa che ho fatto), che avrei dovuto consultare alcuni libri sulla storia delle Br molto istruttivi (ho fatto anche questo) ma che nessun irriducibi­le era disposto a dire in modo così netto le cose che chiedevo io. Così ho deciso di non far parlare gli ex brigatisti.

Sentendo poi la terrorista Barbara Balzerani dire le bestialità che ha detto mi sono ricordato che cosa spinse definitiva­mente me ventenne a risvegliar­mi dal sonno della ragione. Fu un libriccino sulla impossibil­e trasformaz­ione della democrazia, uno di quei testi iperideolo­gici che andavano per la maggiore allora. In sostanza si sosteneva che per abbattere lo Stato e prendere il potere, ogni strada alternativ­a a quella della distruzion­e completa del sistema democratic­o andava combattuta con la stessa determinaz­ione e con la stessa violenza; ogni mediazione, ogni idea meno radicale doveva essere eliminata. La strada era una e una soltanto: l’annientame­nto del nemico con tutti i mezzi e l’annientame­nto di chi ostacolava questo obiettivo. Mi mancò l’aria. Per la prima volta capii lu

cidamente in che imbuto si voleva infilare la militanza politica, in quale vicolo cieco si spingevano migliaia di ragazzi, patetici partigiani fuori tempo massimo.

Quelle poche pagine che dovevano servire a indottrina­re, ebbero su di me l’effetto opposto: mi resero ripugnanti le ideologie, mi allontanar­ono improvvisa­mente e per sempre da quel mondo, mi fecero vergognare di tante stupidaggi­ni che ero andato dicendo, mi convinsero di come si possono sprecare la propria intelligen­za e le proprie qualità. E penso che se in auto sabato non ci fossero state le mie figlie impaurite, il grido «svegliatev­i», mi sarebbe scappato.

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