Non ha vinto la fermezza. Il merito fu di Dalla Chiesa
Nei mesi del sequestro Moro i socialisti furono tra i più attivi a spingere per la trattativa con i terroristi. Claudio Martelli, che era tra quei «trattativisti», ricorda quei giorni e smentisce molte letture, a suo dire, distorte.
È appena trascorso il quarantesimo anniversario della strage in cui persero la vita i cinque uomini
della scorta di Aldo Moro e cominciò quel sequestro dello statista democristiano che per 55 giorni tenne in scacco l’Italia. Giornali e tv hanno dato lo spazio che merita alla figura di Moro, al suo ruolo e al suo disegno politico non di rado, però, cedendo a rappresentazioni di comodo. Così Moro è stato descritto come l’autore o il co-autore del compromesso storico, cioè della strategia di Berlinguer e del Pci. Eppure sarebbe bastato rileggere l’ultimo discorso di Moro agli inquieti parlamentari della Dc il 28 febbraio 1978, 16 giorni prima di essere rapito dalle Brigate rosse. Di fronte alla pressione del Pci che vuole entrare in maggioranza, Moro scandisce: «Siamo stati unanimi in Direzione nel dire no al governo di emergenza; nel dire no a una coalizione politica generale con il Partito comunista. Su questo vi è un atteggiamento così netto, così unanime della Democrazia cristiana che c’è da stupirsi che il Partito comunista abbia a chiedere una cosa che era scontato non potesse avere».
Altro che compromesso storico! Il compromesso con il Pci che Moro considera accettabile è quello «parziale e temporaneo su alcuni punti programmatici». Quello era il contesto politico, difficile, problematico e quella la scelta di Moro. Eppure i suoi eredi nella Dc e i suoi presunti alleati del Pci cominciarono a distorcere il suo pensiero mentre Moro era ancora in vita, opponendo ai disperati appelli del prigioniero dal carcere delle Br la linea della fermezza concordata con il Pci. Bettino Craxi e i socialisti assunsero un atteggiamento diverso perché diverso era il nostro assunto. Per noi a essere in pericolo non era lo Stato, era Moro e Moro doveva e poteva essere salvato aderendo alla sua idea di uno scambio – «uno contro uno» – magari graziando una terrorista malata in carcere, inducendo tra le Br un calcolo meno sanguinario. Erano d’accordo il presidente della Repubblica Giovanni Leone e quello del Senato Amintore Fanfani, ma Giulio Andreotti e il vertice della Dc - condizionati dal Pci che minacciava di ritirare l’appoggio al governo - furono irremovibili. Moro venne assassinato, il governo Andreotti nato sacrificandolo durò meno di un anno, ma molti continuano a pensare che anche le Br abbiano cominciato a morire allora. Certo, quel delitto le rese ancora più ripugnanti eppure continuarono a uccidere ancora per molti anni, da Walter Tobagi a Roberto Ruffilli, da Marco Biagi a Massimo D’Antona. No, a liquidare le Br non furono i proclami sulla fermezza, fu Carlo Alberto Dalla Chiesa con i suoi reparti anti terrorismo e gli agenti infiltrati. Dalla Chiesa li aveva costituiti già nel ’74 ma furono sciolti nel ’76 dal governo di unità nazionale per essere ricostituiti nell’agosto del ’78 tre mesi dopo la strage di via Fani. Quelle contraddizioni furono fatali perché ritardarono la vittoria militare e dell’intelligence e le Br ferite ma non dome concepirono l’attacco al cuore dello Stato.