Hawking sulla sua sedia a rotelle volava. Come me
Guardare la propria disabilità come un incidente di percorso, questa è la spinta che aiuta a non arrendersi. Ne sa qualcosa l’autore di questo articolo, Danilo, prigioniero del suo corpo ma non del suo spirito.
Ha vissuto sulla sua pelle un pensiero sostenuto da Albert Einstein, «la volontà è la forza motrice più potente»
, il primo motore necessario al desiderio per diventare realtà. Forse ora Stephen Hawking potrà viaggiare per quel cosmo di cui ha disvelato tanti segreti, forse ora potrà toccare con mano quella realtà tanto indagata. Sarà libero di osservare da vicino le stelle, in uno spazio dove nascita e morte, spazio e tempo sono tanto infinitamente grandi da non avere limiti.
Hawking e le altre brillanti menti tanto amate e stimate, Einstein e Galileo, fluttuano insieme nell’infinito cosmo: l’astrofisico inglese era nato l’8 gennaio (il giorno in cui morì Galileo, nel 1642) ed è morto il 14 marzo (la data di nascita di Einstein, nel 1879). Solo coincidenze? Lo stesso Hawking che disse che i buchi neri popolano l’immanente infinitezza dei cieli in cui il nostro pianeta altro non è se non una palletta di fango del tutto marginale, sosteneva anche che il Cosmo non è gran cosa se dentro non ci sono le persone che ami, pensiero ricordato da Lucy, Robert e Tim, i tre figli, dando l’annuncio della sua scomparsa. Chi delle stelle ne ha studiato le origini e chi si limita a guardarle hanno in comune il non volersi fermare alla realtà che li circonda, tutti e due sognatori di un altro mondo possibile, e con il desiderio, la voglia e la volontà di realizzarlo.
Quando, nel 2014, nelle sale cinematografiche uscì La teoria del tutto, film biografico diretto da James Marsh e interpretato da Eddie Redmayne nei panni del giovane Hawking, ne avevo sentito parlare solo in termini di disabilità, motivo per cui non ebbi nessun desiderio di vederlo. Bastava che abbassassi gli occhi su di me per percorrerne la trama. Del celebre fisico, astrofisico e cosmologo non ricordavo di aver sentito parlare, se non in qualche annoiata reminiscenza scolastica. Avevo già visto tanti film con disabili come protagonisti, e come unica protagonista la disabilità e le limitazioni che comporta. Forse per la mia atavica repulsione all’essere considerato disabile solo perché ho «qualche» difficoltà a farmi capire, e perché il mio corpo si muove proprio quando non dovrebbe farlo, non sopportavo di vedere sullo schermo la patetica storia di un corpo in disfacimento.
Invece, con mia grande meraviglia, l’uomo che ho conosciuto, magistralmente interpretato da Redmayne, aveva tante di quelle cose da realizzare che prendeva la disabilità, dopo un primo umano momento di scoramento, come un incidente di percorso. Noi lo sappiamo, ma la società ne ha preso coscienza?