Panorama

MBS, la primavera araba del trentenne pigliatutt­o

LA PRIMAVERA ARABA DEL TRENTENNE PIGLIATUTT­O

- di Ely Karmon ricercator­e senior dell’Istituto internazio­nale di anti-terrorismo a Herzliya

Il massimo esperto israeliano di terrorismo spiega a Panorama chi è davvero Muhammad bin Salman,

l’erede al trono che sta ribaltando l’Arabia Saudita. Il suo obiettivo? Circoscriv­ere l’avanzata dell’Iran e riportare il regno sulla rotta moderata.

Q uella del principe Muhammad bin Salman è una vera rivoluzion­e. Sia all’interno dell’Arabia Saudita sia all’esterno. Ed è già un grande successo per un leader di soli 32 anni. L’erede al trono saudita ha preso in mano le redini del regno da appena tre anni, ma è già stato capace di aperture prima impensabil­i, come quelle in favore dei diritti delle donne. Lo stesso bin Salman ha spiegato di voler invertire una rotta cominciata 40 anni fa, quando l’Arabia Saudita è stata investita da un’onda conservatr­ice guidata dagli imam, dagli sceicchi, e dalla loro visione wahabita conservatr­ice.

Due eventi avevano fatto virare in tal senso il regno: l’attacco nel 1979 alla Grande Moschea della Mecca da parte di dissidenti islamici e, lo stesso anno, la rivoluzion­e degli Ayathollah in Iran. Da allora il controllo dei religiosi sulla società e sulla vita quotidiana è stato quasi totale.

Ma adesso il principe, con le sue riforme, li sfida apertament­e. Hanno riaperto i cinema, le donne si sono messe al volante e possono anche andare negli stadi. Questo perché Muhammad bin Salman (Mbs) ha una personalit­à molto forte, decisa, si fida di pochi consiglier­i, è autorevole, accentrato­re, ma nello stesso tempo liberale.

Al centro del progetto c’è il suo piano strategico, Vision 2030. Fino al 2013, la politica economica saudita era basata sul petrolio. La rendita dal greggio serviva a fornire servizi di fatto gratuiti alla popolazion­e e ai religiosi. Ma con il crollo del prezzo del petrolio, a metà 2014, tale politica non è stata più sostenibil­e. Bin Salman è stato il primo a capirlo e ha lanciato un ambizioso piano di riforme per sganciare il Paese dalla dipendenza dal greggio. Il principe può osare questa rivoluzion­e (che pure crea malcontent­o in taluni settori) perché è giovane e in sintonia con quel 65 per cento della popolazion­e con meno di 30 anni.

Le riforme della Vision 2030 hanno però necessità di forti investimen­ti. Per questo un tassello fondamenta­le è la vendita del 5 per cento delle azioni di Aramco, la compagnia petrolifer­a saudita di Stato (la Cina ha fatto diverse offerte di acquisto). La privatizza­zione di Aramco serve a raccoglier­e risorse per sviluppare altre branche dell’economia, come l’industria militare. Riad ne ha bisogno perché impegnata in una dispendios­a guerra nello Yemen: il 10 per cento del budget dello Stato è dedicato alle armi, quasi tutte importate dall’estero.

Un’industria militare locale servirà anche a rilanciare l’economia e a investire in infrastrut­ture. Ma in attesa degli introiti dalla vendita di Aramco, rimandati al 2019, per rimpinguar­e le casse dello Stato il principe ha escogitato un’altra strada poco ortodossa. Lo scorso novembre centinaia di ricchi businessma­n e principi della famiglia reale sono stati arrestati e rinchiusi nel lussuoso Ritz Carlton di Riad. La «lotta alla corruzione» gli avrebbe fruttato almeno 100 miliardi di dollari: tanti sono i fondi versati dai detenuti allo Stato. Metodo che tuttavia potrebbe frenare gli investimen­ti da Stati Uniti ed Europa, ma anche dalla Russia e dalla Cina. E i sauditi sono interessat­i a che queste potenze investano in Arabia Saudita.

Un’inchiesta del New York Times ha

denunciato le torture che sarebbero avvenute nel Ritz Carlton. Forse una ricostruzi­one esagerata, perché queste persone sono state imprigiona­te in un hotel con tutte le comodità, non in una vera prigione. E la pressione psicologic­a è bastata a convincerl­i a versare parte del loro patrimonio allo Stato. Ma è anche vero che in questo tipo di regimi fatti del genere possono accadere.

Dietro questa lotta «alla corruzione» non ci sono solo motivi economici, ma anche politici. Certo è che in questo modo il principe ha anche voluto neutralizz­are i suoi possibili rivali alla succession­e, primo fra tutti Muhammad bin Nayef. Adesso tra le due correnti in competizio­ne nella famiglia reale per la succession­e è in vantaggio quella che appoggia bin Salman. Ma il principe non ha ancora la certezza di salire al trono perché la succession­e è influenzat­a da ben 5 mila principi. In questa battaglia si inseriscon­o le voci su un presunto sequestro della madre da parte del principe, che cerca di impedirle di vedere re Salman e influire su di lui.

Ma il vero problema di Mbs è la politica estera. Il duello con l’Iran è sempre più acceso, con due nuovi fronti aperti proprio dal principe: la guerra nello Yemen iniziata nel 2015 e lo scontro con il Qatar. Nonostante l’appoggio di Emirati ed Egitto, la minaccia degli houthi, alleati dell’Iran, è molto pericolosa. E il blocco del Qatar è fallito perché la Turchia, con l’Iran, appoggia l’emiro.

Un altro fronte aperto in politica estera è quello del Libano. Con il suo stile diretto, il principe ha convinto il premier libanese Saad Hariri a distanziar­si da Hezbollah. Il 4 novembre Hariri ha dato le sue dimissioni in diretta televisiva da Riad. Non è chiaro se Hariri sia stato agli arresti in Arabia Saudita e se siano state fatte pressioni su di lui. Poi comunque è ritornato in Libano, ha ripreso il suo posto e la sua politica non è proprio allineata con quella dell’Arabia Saudita. In Libano Hezbollah resta molto forte, perché ha una forte milizia e il presidente Michel Aoun è uno dei suoi alleati. Il 6 maggio si vota: con la nuova legge elettorale potrebbe esserci una grande vittoria di Hezbollah, che potrebbe arrivare a controllar­e il 70 per cento dei seggi in Parlamento.

In questo momento, quindi, la politica estera saudita è in difficoltà: nello Yemen, nel Qatar, nel Libano e persino nei rapporti con la Turchia. Il principe e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan però hanno avuto alcuni incontri, uno dei quali a febbraio 2017. Tutti questi fronti sono parte della sfida con l’Iran.

Il duello in corso nel Medio Oriente ha spinto bin Salman verso un’altra decisione strategica: quella di volersi dotare del nucleare. Un progetto che per ora riguarda solo reattori per scopi civili, ma Riad vuole essere pronta a rispondere all’Iran se gli Ayatollah

si doteranno di armi nucleari. È un’azione che dipende dal destino dell’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti. In ogni caso, l’Arabia Saudita avrà bisogno di tempo per costruire l’atomica perché al momento non possiede le infrastrut­ture industrial­i necessarie. L’accelerazi­one sul nucleare dipende però anche dal peggiorame­nto dei rapporti con il Pakistan. Riad contava su Islamabad, potenza atomica, che in caso di necessità avrebbe fornito ai sauditi armi nucleari. Ma il Pakistan si è lentamente allontanat­o dall’Arabia Saudita. Riad è delusa dal Pakistan per il mancato aiuto nella guerra nello Yemen: perciò vuole diventare indipenden­te sul nucleare.

Ma la corsa all’atomica rischia di coinvolger­e tutto il Medio oriente. L’Egitto si è rivolto alla Russia. Israele è molto preoccupat­a. Il premier Benyamin Netanyahu ha sollecitat­o il presidente Usa Donald Trump a non stringere un accordo con i sauditi che consentire­bbe l’arricchime­nto dell’uranio. Bin Salman però insiste, anche sul nucleare, perché si sente accerchiat­o dall’Iran. I sauditi consideran­o gli houthi il nuovo Hezbollah, alle porte di casa. In effetti l’ideologia, il simbolismo e i comportame­nti dei leader houthi sono ricalcati su quelli del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. In tutto, persino nei loro discorsi.

Ma la presa degli houthi sul Paese non è così forte. Lo dimostra l’assassinio dell’ex presidente Ali Saleh, ucciso perché aveva deciso di cambiare alleanza, passando così dalla parte dei sauditi e lasciando il campo degli houthi. Ma non basta. C’è anche una grande comunità sciita in Arabia Saudita e nel confinante Bahrein, dove rappresent­a la maggioranz­a della popolazion­e. Riad teme un’insurrezio­ne, anche perché gli sciiti in Arabia Saudita vivono nei territori dove si trovano i pozzi di petrolio. Per Riad gli houthi e Hezbollah sono la longa manus dell’Iran in Yemen, Libano e Siria.

La sindrome dell’assedio da parte

iraniana ha spinto bin Salman a un altro passo prima impensabil­e: l’alleanza strategica con Israele. Ci sono stati incontri diplomatic­i tra i rappresent­anti dei due Stati anche alla Casa Bianca. E un incontro nel 2016 in Giordania tra Mbs e Netanyahu. Israele, Arabia Saudita e Stati Uniti stanno lavorando fianco a fianco per risolvere il conflitto israelo-palestines­e. La Lega araba ha proposto un suo piano. E lo Stato ebraico potrebbe decidere di trovare un compromess­o, anche se molto difficile perché l’Autorità nazionale palestines­e non controlla Hamas e i Fratelli musulmani nella Striscia di Gaza. In questo conflitto il ruolo di Arabia Saudita ed Emirati è cruciale, ma importante è anche la posizione dei palestines­i e la loro volontà di trovare una soluzione con Israele.

La scelta di campo del principe che ha stretto ancor più l’alleanza con gli Usa e Israele non gli ha però precluso i rapporti con il grande rivale di Washington, la Russia. Mosca e Riad si sono confrontat­e duramente in Siria, dove Vladimir Putin appoggia il regime di Bashar al Assad con armi e consiglier­i militari. Ma l’Arabia Saudita non intende entrare nel conflitto siriano, per lo meno in modo diretto. Re Salman è andato a Mosca e ha incontrato Putin al Cremlino, la prima volta di un re saudita. La Russia cerca di mantenere i rapporti con Riad, anche perché con il suo appoggio all’Iran sta perdendo consensi tra i sunniti, la fetta più grossa del mondo islamico.

Invece Arabia Saudita, Egitto, Sudan e Libano vogliono migliorare le loro relazioni e la cooperazio­ne militare con la Russia. Ciò perché lo stesso campo sunnita è spaccato. Il blocco del Qatar ha messo in luce lo scontro tra Arabia Saudita e Fratelli musulmani. Il piccolo emirato ha solo 2 milioni di abitanti ma molto soft power, soprattutt­o attraverso l’emittente Al Jazeera, tv che di fatto è controllat­a dai Fratelli musulmani.

L’Arabia Saudita ha tentato di neutralizz­are il legame tra la casa regnante qatarina e la Fratellanz­a e anche con i gruppi jihadisti, come Jabhat al Nusra in Siria. Gli Stati Uniti non sono contenti di questi legami, tanto più perché hanno importanti basi in Qatar. Ma in soccorso all’emirato è arrivata la Turchia, che ha inaugurato di recente una sua base. Quando re Salman ha preso il potere nel 2015, ha subito invitato il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi e il leader turco Recep Tayyp Erdogan a Riad per provare a mediare tra le loro posizioni. Ma la sua linea politica non ha avuto successo.

Così Mbs ha cambiato rotta, scatenando un’offensiva a tutto campo contro i Fratelli musulmani e cementando l’alleanza con al Sisi nella sua visita al Cairo del 4 marzo. La sua nuova politica estera, decisament­e anti-iraniana, è stata favorita dalla vittoria di Trump, che bin Salman ha incontrato il 20 marzo alla Casa Bianca. L’amministra­zione Obama era invece lontana dalle posizioni saudite. Non voleva punire il regime di Assad per l’uso delle armi chimiche e in generale intervenir­e poco in Medio Oriente.

La Vision 2030 di MBS apre il suo Paese al mondo, liberalizz­a una società finora conservatr­ice e la avvia alla modernizza­zione. Anche per essere meglio accettata, in particolar­e dall’Occidente e dagli Stati Uniti.

La scelta di campo occidental­e di bin Salman non gli ha precluso i rapporti con Mosca

 ??  ?? Muhammad bin Salman in visita a Donald Trump alla Casa Bianca il 17 marzo 2017. L’erede al trono saudita ha rivisto il presidente Usa lo scorso 20 marzo.
Muhammad bin Salman in visita a Donald Trump alla Casa Bianca il 17 marzo 2017. L’erede al trono saudita ha rivisto il presidente Usa lo scorso 20 marzo.
 ??  ?? L’erede al trono saudita con il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi lo scorso 5 marzo in visita a Ismailia, in Egitto, per valutare un progetto di investimen­ti.
L’erede al trono saudita con il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi lo scorso 5 marzo in visita a Ismailia, in Egitto, per valutare un progetto di investimen­ti.
 ??  ?? MBS con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan durante un summit del G20 a Hangzhou in Cina il 3 settembre 2016.
MBS con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan durante un summit del G20 a Hangzhou in Cina il 3 settembre 2016.

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