Panorama

Matteo, non fare l’errore di Matteo

Il successo può spingere Salvini a muoversi da solo, come Renzi nel 2014. Ma gli elettori moderati sono tanti e non è detto che si sentano rappresent­ati da lui.

- di Keyser Söze

Il successo in politica è un animale strano:

può aprirti vasti orizzonti, ma spesso, dà alla testa, ed è la premessa per cadute repentine. Il 40 per cento conquistat­o da Matteo Renzi alle elezioni europee del 2014 e la disfatta alle politiche del 4 marzo ne sono l’esempio più recente. Ora anche Matteo Salvini potrebbe correre lo stesso rischio. All’epoca Renzi stipulò un’intesa con Silvio Berlusconi, il cosiddetto patto del Nazareno, che violò nelle elezioni del capo dello Stato, quando scelse Sergio Mattarella senza coinvolger­e il Cav. Eppoi tentò di succhiargl­i il consenso. L’operazione Denis Verdini, con pattuglia di parlamenta­ri al seguito, ebbe quella logica. Tutti sanno com’è finita.

Ora il leader della Lega sembra recitare lo stesso copione, che, senza un ravvedimen­to, potrebbe avere lo stesso epilogo. Ha fatto un accordo di coalizione con Berlusconi, ha preso più voti del suo alleato, e ora è quasi tentato di rompere quel patto, creando un rapporto privilegia­to con l’altro vincitore per individuar­e gli equilibri istituzion­ali e di governo di questa legislatur­a, cioè il grillino Luigi Di Maio. Anche qui con l’intenzione (o l’illusione) di svuotare Forza Italia nei prossimi mesi. Oggi, come allora, il gruppo dirigente az

zurro si sta dividendo sulle prospettiv­e. All’epoca andò in auge la scommessa sul partito della nazione, capeggiato da Renzi; ora c’è in ballo il partito unico del centrodest­ra, vagheggiat­o da Salvini. Teorico di questo processo (più o meno come Verdini lo fu del partito della Nazione) è il governator­e della Liguria, Giovanni Toti. E, naturalmen­te, contro una scelta di questo tipo si è schierato un’altra parte del gruppo dirigente: Renato Brunetta, addirittur­a, è del parere che il Cav debba minacciare la rottura della coalizione se Salvini tenterà delle fughe in avanti. Ma al

di là del dibattito interno, il punto è un altro: la scommessa di Salvini si basa su dei dati di fatto, o su una serie di abbagli? Partiamo da un presuppost­o: è indiscutib­ile che Salvini sia il vincitore dentro la coalizione del centrodest­ra; ma, appunto, dentro la coalizione del centrodest­ra. Senza quella coalizione sarebbe il terzo classifica­to dopo Di Maio e Renzi. Inoltre il successo del leader della Lega

è stato anche il risultato di una serie di scelte sbagliate di Forza Italia. Innanzitut­to una legge elettorale, l’ormai famigerato Rosatellum, che valorizza il ruolo dei partiti che hanno una concentraz­ione di voti sul territorio (collegi uninominal­i): una legge che di fatto, ha regalato alla Lega una sorta di golden share nella coalizione. In secondo luogo, liste elettorali non adeguate e poco rappresent­ative: se punti sul futuro, non c’è stato un rinnovamen­to profondo nelle candidatur­e; se ti basi sul passato, interi settori del partito sono stati «espulsi».

Comunque, malgrado tutto questo, Forza Italia è rimasta al 14 per cento. Un 14 essenziale per Salvini per vincere, ma che Salvini, con la sua politica di oggi, non può rappresent­are. Né può immaginare di farlo con una campagna acquisti nel gruppo dirigente di Forza Italia: il saldo di queste operazioni, infatti, non è mai lontano dallo zero. I sondaggi dimostrano che sull’onda della vittoria (momento topico) la Lega non è andata nella settimana successiva oltre il 19 per cento (ha comunque superato il Pd), mentre Forza Italia è calata al 13. Ma il dato più importante è un altro: in una bipolarizz­azione dello scontro politico tra Di Maio e Salvini, la spunterebb­e il primo.

Salvini rischia di fare lo stesso errore della sinistra di una volta, cioè di pensare che Forza Italia sia un partito di «plastica». In realtà rappresent­a un luogo, uno stato d’animo, un modo di vedere le cose di una parte dell’elettorato moderato, che, grande o piccolo che sia, è essenziale per la vittoria del centrodest­ra. Un elettorato che Berlusconi è riuscito a interpreta­re e che Salvini in prima persona non può rappresent­are. Ecco perché il Matteo in auge oggi, rischia di ripetere lo stesso errore del Matteo in auge ieri. Con una differenza: sbagliare è umano, perseverar­e è diabolico.

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sospetti, dove quel personaggi­o è interpreta­to da Kevin Spacey (foto), e nasconde un importante rappresent­ante delle istituzion­i, che su Panorama racconta la politica dal di dentro.
Chi è Keyser Söze: lo pseudonimo è tratto dal film-cult I soliti sospetti, dove quel personaggi­o è interpreta­to da Kevin Spacey (foto), e nasconde un importante rappresent­ante delle istituzion­i, che su Panorama racconta la politica dal di dentro.

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